.Cinque.


.Sparanoia.



Stamattina mi sono svegliata. Lo so: niente di strano in questo. Mi sveglio quasi tutte le mattine, almeno quelle in cui lavoro. Altrimenti opto per alzarmi direttamente nel primo pomeriggio. In fondo, è già stagione di letargo qui.
Il gatto mi aspettava già pronto in pole position di fronte alla ciotola, che ho riempito ad occhi chiusi con un gesto automatico. Struscino e fusa riconoscenti di rito. Cambio dell'acqua e aggiunta di succulenti croccantini alla ciotola del cane. Leccatina e scodinzolamenti di rito. Ci sono volte in cui mi convinco d'essere considerata come un utile animale domestico.
Pipì, lavarsi la faccia e altre zone del corpo col metodo random, vestirsi. Smozzicare una brioche, prendere il BeTotal Plus, che ho scoperto farmi più effetto del caffè ed essere, per ovvi motivi, estremamente più pratico, accendere e spegnere la tv non appena appare la prima immagine. No, non ce la faccio proprio.
Radio. Khhhvvhhhrrrrhhhuuusssììnacosagggrraanndepeemmmeeee... rivedo mio nonno che canta per mia nonna appoggiato allo stipite della porta della cucina mentre lei gli prepara il caffè. Spengo la radio: i ricordi malinconici di prima mattina non sono tollerabili.
Prendo in mano la chitarra, attento a un paio di cromatismi, maledico bonariamente l'amico Peppe che me li ha spiegati e raccomandati, mi convinco sempre di più che devo decidermi a comprare un violoncello. Impugno la chitarra come un violoncello, proseguo nei cromatismi. Mando a cacare la chitarra.
Pennelli, proviamo a proseguire con l'ultimo quadro in atto. Ho finito il rosso. Disastro, mi serviva. E' finito anche il blu. Sono finita io, praticamente ho finito i colori: niente colori primari, niente colori in generale.
Insomma, stamattina mi sono svegliata e ho capito subito che era una giornata di merda. Tanto più che dovevo uscire e andare a pagare l'assicurazione che, per quanto bassa, incide non poco sul mio già di per sé scarso introito mensile.
Così ho preso l'auto e mi sono sparata da brava tutti i chilometri che mi separavano dall'ufficio del mio assicuratore. Ma, ecco la folgorazione: mentre sono ferma ad un semaforo lungo il percorso, l'occhio mi cade su una vetrina tirata a lucido.
- Tò - penso - finalmente hanno affittato.
Una macelleria equina. Araba.
- Bene! - penso ancora - Viva l'integrazione! Qui, nel cuore della Padania, era ora che...
Mentre formulo questo pensiero, mentre esulto un tantino, mentre sono sull'onda del "siamo tutti clandestini", mentre i miei occhietti vispi scivolano sui caratteri arabeggianti incomprensibili, ecco comparire una gigantografia di quella che al momento poteva sembrare una foto dell'arena di Verona durante un concerto, invece no: aguzzo bene la vista e mi capacito che nella metà inferiore della vetrina campeggia un poster de La Mecca, traboccante di fedeli al chiar di luna. Strabuzzo gli occhi: subito sotto, un librone d'oro aperto su una non meglio precisata pagina che esprime non meglio precisati concetti, non in italiano almeno. Il Corano. In una teca di vetro, manco fosse la testa di Nefertiti al Cairo.
Nella manciata di secondi che mi separano dal semaforo verde, nella mia testa si mischiano, come in un frullatore impazzito, centinaia di pensieri ed immagini: Bin Laden, le torri gemelle, il pentagono, le lapidazioni, le impiccagioni, l'infibulazione, il burqa, lo chador/hijab, la danza del ventre, i magrebini, la guerra, l'America, il petrolio, l'Iraq, l'Iran, l'Afghanistan, tutti gli altri paesi che finiscono in an, buona parte dell'India, svariati paesi dell'Africa, il terrorismo, Bush, Blair, Aznar, Berlusconi, la Madonnina del Duomo di Milano, gli attentati, la caserma di Santa Barbara a Milano, Londra, Madrid, i Mujaheddin, i Muezzin, l'Onu, la ricerca sul Marocco che ho fatto per la tesina agli esami di terza media, quel tunisino che voleva dare a mio padre un gregge di pecore uno di capre e novantanove cammelli per portarmi in un kibbutz, gli aiuti umanitari, le missioni di pace, Arafat, la Palestina, le bombe, gli integralisti, i capitalisti, i diamanti di sangue, i bambini che muoiono di fame, i bambini soldato, le peggio malattie, le vacanze a Sharm el Sheikh, Jovanotti che canta con Ligabue e Piero Pelù "Il mio nome è Maipiù", lo Yemen, il mio amico soldato che sta nell'aeronautica in missione, Saddam Hussein, le moschee, Viale Jenner, l'Islam, il kebab, il kaftano, gli ottomani, mammaliturchi, le crociate, Maometto, i musulmani, Calderoli, le dittature, il pizzaiolo tunisino che mi continua a ripetere quanto gli ricordo sua figlia che è sposata e vive in Marocco, l'immigrazione clandestina, gli sbarcati, Messina, i carri armati, i bombardamenti, la striscia di Gaza, Israele, Hitler, il ragazzo egiziano che due anni fa al mare ci ha provato prima con mia cugina e poi con me, i campi di concentramento, i kamikaze, le guerre sante, mio nonno che ventitre anni fa disse a mia madre di non chiamarmi Miriam perchè chissà cosa combinano zittizitti giù di là che un domani ti sale su un aereo e solo perchè ha un nome così te la fan fuori, i martiri, Hina, Sanaa, tutte le altre, sangue sangue sangue, la paura, l'orrore, la paranoia.
Cerco di richiudere la bocca e di scorgere qualche figura umana dietro al vetro: all'interno della macelleria, un ragazzo, che avrà al massimo vent'anni, mi osserva immobile. Ha il sorriso inebetito e lo sguardo perso nella mia scollatura troppo generosa. Solleva gli occhi e continua a sorridermi, mentre mi domando se trova il mio trucco troppo sfacciato per la sua cultura. Non c'è traccia di rimprovero nei suoi occhi, solo un tasso ormonale troppo alto e una leggera percentuale piacionica nell'atteggiamento.
Il semaforo diventa verde e io mi dimentico di tutto. Gli offro mezzo sorriso, giusto perchè i nostri sguardi si sono incrociati per un attimo. Solleva la mano in un accenno di saluto, quasi sorpreso e intimidito.
Alla fine, è un uomo anche lui.