.Sei.


.Trip.



Mi chiedo se davvero dall'altra parte del mondo il cielo è più azzurro? O se dicono così soltanto perchè si vede più cielo? E mi chiedo che rumore fa la pioggia quando cade nel deserto? Se è come quando piove in riva al mare, ma senza confondersi col rumore delle onde? E dove finiscono tutte le foglie che cascano dagli alberi e se ne vanno come barchette sul fiume sotto casa? E quando il mio cane sogna, dov'è e cosa fa? E mi chiedo perchè scelgo sempre di mettermi un vestito che non ho stirato o che non ho mai avuto? E cosa me ne faccio di tutti quei piatti e bicchieri che non uso? E se tornassi a dormire per terra, nel mio sacco a pelo, forse mi passerebbe davvero il mal di schiena? E quanti pensieri ancora dovrà partorire la mia dannata cervicale? E' un danno essere nata sotto il segno dei ribelli? Porterà sfortuna quella congiunzione astrale con l'eterno no? Diventare clochard per essere felice? Potrei farlo, ma sarei in grado poi di restare amareggiatamente me stessa? E perchè mi rendo conto solo oggi che di tutte le cose utili che ho non me ne serve davvero nessuna? E sarà così poco sano voler vendere tutto ciò che resta di casa mia, lenzuola incluse? Sarà vero che una volta partita non avrò più voglia di tornare? O mi pentirò non appena la hostess mi offrirà qualcosa di chimico da bere? E perchè poi nelle fototessere dei documenti sembro sempre una contrabbandiera rumena? Sono meno femmina delle altre donne perchè parto solo con uno zaino anche se starò via un anno? Forse è grave che vivo senza french manicure e senza phon? Spesso anche senza luce e senza gas? Le mie priorità non somigliano a quelle di nessun altro perchè sono realmente fuori dal mondo? O è soltanto per il fatto che il mondo non è mai stato dentro di me? Mi piacerà avere come colonna sonora quotidiana soltanto il rumore dei miei passi? E riusciranno i miei occhi ad essere sempre pronti a catturare tutto ciò che ci sarà da vedere? Avrò allenato a sufficienza la mia memoria in questi anni? Quali cassetti dovrò svuotare per fare posto al nuovo privo di prezzi ed etichette? Sopravviverò all'emozione di scoprirmi viva e felicemente sola in mezzo al mondo? Scelgo male se mi rapo a zero prima di partire? E avrò il coraggio di godermi il meritato benessere della libertà? Imparerò finalmente a parlare inglese come si deve? E sarà migliore il sesso in terra straniera? Sono la pazza delirante che dicono tutti oppure ho solo più coraggio degli altri nell'esprimermi? O più incoscienza nel mostrarmi? Sarò davvero tanto esibizionista come dicono? O è la loro ipocrisia a definirmi tale? E come mai più rileggo la lista delle cose da portare con me meno cose voglio portare con me? O meglio perchè vorrei portare con me meno oggetti e più persone? E non verranno forse con me comunque? Che odore avranno i miei risvegli altrove? E quali sensazioni uditive registreranno le mie meningi? E camminerò tanto da accorciarmi e scomparire? Come e quando darò libero sfogo alle mie volute e non volute cerebrali? Diventerò finalmente una persona migliore? Avrò davvero qualcosa da raccontare al mio ritorno? Tornerò? Ma soprattutto: perchè non ho paura?





.Cinque.


.Sparanoia.



Stamattina mi sono svegliata. Lo so: niente di strano in questo. Mi sveglio quasi tutte le mattine, almeno quelle in cui lavoro. Altrimenti opto per alzarmi direttamente nel primo pomeriggio. In fondo, è già stagione di letargo qui.
Il gatto mi aspettava già pronto in pole position di fronte alla ciotola, che ho riempito ad occhi chiusi con un gesto automatico. Struscino e fusa riconoscenti di rito. Cambio dell'acqua e aggiunta di succulenti croccantini alla ciotola del cane. Leccatina e scodinzolamenti di rito. Ci sono volte in cui mi convinco d'essere considerata come un utile animale domestico.
Pipì, lavarsi la faccia e altre zone del corpo col metodo random, vestirsi. Smozzicare una brioche, prendere il BeTotal Plus, che ho scoperto farmi più effetto del caffè ed essere, per ovvi motivi, estremamente più pratico, accendere e spegnere la tv non appena appare la prima immagine. No, non ce la faccio proprio.
Radio. Khhhvvhhhrrrrhhhuuusssììnacosagggrraanndepeemmmeeee... rivedo mio nonno che canta per mia nonna appoggiato allo stipite della porta della cucina mentre lei gli prepara il caffè. Spengo la radio: i ricordi malinconici di prima mattina non sono tollerabili.
Prendo in mano la chitarra, attento a un paio di cromatismi, maledico bonariamente l'amico Peppe che me li ha spiegati e raccomandati, mi convinco sempre di più che devo decidermi a comprare un violoncello. Impugno la chitarra come un violoncello, proseguo nei cromatismi. Mando a cacare la chitarra.
Pennelli, proviamo a proseguire con l'ultimo quadro in atto. Ho finito il rosso. Disastro, mi serviva. E' finito anche il blu. Sono finita io, praticamente ho finito i colori: niente colori primari, niente colori in generale.
Insomma, stamattina mi sono svegliata e ho capito subito che era una giornata di merda. Tanto più che dovevo uscire e andare a pagare l'assicurazione che, per quanto bassa, incide non poco sul mio già di per sé scarso introito mensile.
Così ho preso l'auto e mi sono sparata da brava tutti i chilometri che mi separavano dall'ufficio del mio assicuratore. Ma, ecco la folgorazione: mentre sono ferma ad un semaforo lungo il percorso, l'occhio mi cade su una vetrina tirata a lucido.
- Tò - penso - finalmente hanno affittato.
Una macelleria equina. Araba.
- Bene! - penso ancora - Viva l'integrazione! Qui, nel cuore della Padania, era ora che...
Mentre formulo questo pensiero, mentre esulto un tantino, mentre sono sull'onda del "siamo tutti clandestini", mentre i miei occhietti vispi scivolano sui caratteri arabeggianti incomprensibili, ecco comparire una gigantografia di quella che al momento poteva sembrare una foto dell'arena di Verona durante un concerto, invece no: aguzzo bene la vista e mi capacito che nella metà inferiore della vetrina campeggia un poster de La Mecca, traboccante di fedeli al chiar di luna. Strabuzzo gli occhi: subito sotto, un librone d'oro aperto su una non meglio precisata pagina che esprime non meglio precisati concetti, non in italiano almeno. Il Corano. In una teca di vetro, manco fosse la testa di Nefertiti al Cairo.
Nella manciata di secondi che mi separano dal semaforo verde, nella mia testa si mischiano, come in un frullatore impazzito, centinaia di pensieri ed immagini: Bin Laden, le torri gemelle, il pentagono, le lapidazioni, le impiccagioni, l'infibulazione, il burqa, lo chador/hijab, la danza del ventre, i magrebini, la guerra, l'America, il petrolio, l'Iraq, l'Iran, l'Afghanistan, tutti gli altri paesi che finiscono in an, buona parte dell'India, svariati paesi dell'Africa, il terrorismo, Bush, Blair, Aznar, Berlusconi, la Madonnina del Duomo di Milano, gli attentati, la caserma di Santa Barbara a Milano, Londra, Madrid, i Mujaheddin, i Muezzin, l'Onu, la ricerca sul Marocco che ho fatto per la tesina agli esami di terza media, quel tunisino che voleva dare a mio padre un gregge di pecore uno di capre e novantanove cammelli per portarmi in un kibbutz, gli aiuti umanitari, le missioni di pace, Arafat, la Palestina, le bombe, gli integralisti, i capitalisti, i diamanti di sangue, i bambini che muoiono di fame, i bambini soldato, le peggio malattie, le vacanze a Sharm el Sheikh, Jovanotti che canta con Ligabue e Piero Pelù "Il mio nome è Maipiù", lo Yemen, il mio amico soldato che sta nell'aeronautica in missione, Saddam Hussein, le moschee, Viale Jenner, l'Islam, il kebab, il kaftano, gli ottomani, mammaliturchi, le crociate, Maometto, i musulmani, Calderoli, le dittature, il pizzaiolo tunisino che mi continua a ripetere quanto gli ricordo sua figlia che è sposata e vive in Marocco, l'immigrazione clandestina, gli sbarcati, Messina, i carri armati, i bombardamenti, la striscia di Gaza, Israele, Hitler, il ragazzo egiziano che due anni fa al mare ci ha provato prima con mia cugina e poi con me, i campi di concentramento, i kamikaze, le guerre sante, mio nonno che ventitre anni fa disse a mia madre di non chiamarmi Miriam perchè chissà cosa combinano zittizitti giù di là che un domani ti sale su un aereo e solo perchè ha un nome così te la fan fuori, i martiri, Hina, Sanaa, tutte le altre, sangue sangue sangue, la paura, l'orrore, la paranoia.
Cerco di richiudere la bocca e di scorgere qualche figura umana dietro al vetro: all'interno della macelleria, un ragazzo, che avrà al massimo vent'anni, mi osserva immobile. Ha il sorriso inebetito e lo sguardo perso nella mia scollatura troppo generosa. Solleva gli occhi e continua a sorridermi, mentre mi domando se trova il mio trucco troppo sfacciato per la sua cultura. Non c'è traccia di rimprovero nei suoi occhi, solo un tasso ormonale troppo alto e una leggera percentuale piacionica nell'atteggiamento.
Il semaforo diventa verde e io mi dimentico di tutto. Gli offro mezzo sorriso, giusto perchè i nostri sguardi si sono incrociati per un attimo. Solleva la mano in un accenno di saluto, quasi sorpreso e intimidito.
Alla fine, è un uomo anche lui.




.Quattro.


.Benzoino.

Fumo d’incenso, davanti ai miei occhi, diventa solido trasformista. Rivelami i miei pensieri, stupiscimi con ciò che già so. Non farti pregare. Sono io l’altare cui ti sacrifico. Non farti pregare.
Seduta a gambe incrociate, medito in sordina. Ascolto una flebile me. Ritrovo una mia spiritualità, ma non la chiamo dio. La ribattezzo Io.
Piccolo ventre di fuoco, crepita piano, sottovoce: che nessuno sappia dei tuoi inconfessabili desideri.
Respiro. Respiro, che per quanto profondo rimani superficiale, quali e quante porte vorresti aprire al tuo passaggio? A creare corrente d’aria nell’anima, tutti i miei sogni, impilati con cura negli anni, voleranno via, senza il fermacarte della razionalità. Non importa: erano tutti vuoti, immacolati, mai usati. Non preziosi.
Liberiamoci senza rimorsi degli orpelli inutili, offriamo scompiglio alla monotonia: sono certa che ci sorriderà, riconoscente, più capace di noi d’accettare il cambiamento.
La nuova visione di me si distacca dal reale e per questo diventa più reale. Ora che io sono me, non mi riconosco più. Sono meglio. Mi contemplo tristemente: che sconfitta scoprire d’essere migliori di come si vive. Migliori di come ci si vive.
La consapevolezza tintinna piano, incerta, come piccoli campanellini d’argento mossi dall’occhio di chi osserva. Risveglio lieve di una coscienza riluttante.
Mi avvio in cerca di me, alla cieca, guidata solo dal rumore delle mie unghie che scavano. Come un segugio vado a stanarmi. Il mio occhio muove intere pareti dentro di me: mi scopro murata viva da mattoni costituiti per la maggior parte da alibi inconsistenti.
Il modo migliore per sapere cosa si vuole è non sapere cosa si vuole. Una scatola vuota può essere riempita con qualunque cosa, così il niente può rapidamente trasformarsi in tutto, dire non so equivale a dire io saprò. Quindi io so.
Rapido, il mio occhio demolisce ciò che resta dei miei nascondigli. Ormai non resta una sola pietra da scagliare o dietro cui occultarmi.
Appare un corridoio inaspettato nel quale vacillo, disorientata, verso l’uscita. Un dito scorre lungo le pareti lisce, solide, invitanti: niente appigli, niente insenature, niente porte. Solo un imbuto che mi porta verso l’uscita, verso la Luce, come un utero. Sono smarrita e grata.
I miei piedi nudi sguazzano felici nella loro nuova coscienza di sé. Inseguita dai miei stessi passi, condannata forse a non raggiungermi mai, resto immobile. Paralizzata dalla libertà di movimento.
Un passo.
Avrò nostalgia?
Un altro passo.
Saprò come muovermi?
Ancora un passo.
Sono fuori di me.

L'universo è infinito e compatto: inizio a dare forma a questa mia nuova dimensione.