.Sei.


.Trip.



Mi chiedo se davvero dall'altra parte del mondo il cielo è più azzurro? O se dicono così soltanto perchè si vede più cielo? E mi chiedo che rumore fa la pioggia quando cade nel deserto? Se è come quando piove in riva al mare, ma senza confondersi col rumore delle onde? E dove finiscono tutte le foglie che cascano dagli alberi e se ne vanno come barchette sul fiume sotto casa? E quando il mio cane sogna, dov'è e cosa fa? E mi chiedo perchè scelgo sempre di mettermi un vestito che non ho stirato o che non ho mai avuto? E cosa me ne faccio di tutti quei piatti e bicchieri che non uso? E se tornassi a dormire per terra, nel mio sacco a pelo, forse mi passerebbe davvero il mal di schiena? E quanti pensieri ancora dovrà partorire la mia dannata cervicale? E' un danno essere nata sotto il segno dei ribelli? Porterà sfortuna quella congiunzione astrale con l'eterno no? Diventare clochard per essere felice? Potrei farlo, ma sarei in grado poi di restare amareggiatamente me stessa? E perchè mi rendo conto solo oggi che di tutte le cose utili che ho non me ne serve davvero nessuna? E sarà così poco sano voler vendere tutto ciò che resta di casa mia, lenzuola incluse? Sarà vero che una volta partita non avrò più voglia di tornare? O mi pentirò non appena la hostess mi offrirà qualcosa di chimico da bere? E perchè poi nelle fototessere dei documenti sembro sempre una contrabbandiera rumena? Sono meno femmina delle altre donne perchè parto solo con uno zaino anche se starò via un anno? Forse è grave che vivo senza french manicure e senza phon? Spesso anche senza luce e senza gas? Le mie priorità non somigliano a quelle di nessun altro perchè sono realmente fuori dal mondo? O è soltanto per il fatto che il mondo non è mai stato dentro di me? Mi piacerà avere come colonna sonora quotidiana soltanto il rumore dei miei passi? E riusciranno i miei occhi ad essere sempre pronti a catturare tutto ciò che ci sarà da vedere? Avrò allenato a sufficienza la mia memoria in questi anni? Quali cassetti dovrò svuotare per fare posto al nuovo privo di prezzi ed etichette? Sopravviverò all'emozione di scoprirmi viva e felicemente sola in mezzo al mondo? Scelgo male se mi rapo a zero prima di partire? E avrò il coraggio di godermi il meritato benessere della libertà? Imparerò finalmente a parlare inglese come si deve? E sarà migliore il sesso in terra straniera? Sono la pazza delirante che dicono tutti oppure ho solo più coraggio degli altri nell'esprimermi? O più incoscienza nel mostrarmi? Sarò davvero tanto esibizionista come dicono? O è la loro ipocrisia a definirmi tale? E come mai più rileggo la lista delle cose da portare con me meno cose voglio portare con me? O meglio perchè vorrei portare con me meno oggetti e più persone? E non verranno forse con me comunque? Che odore avranno i miei risvegli altrove? E quali sensazioni uditive registreranno le mie meningi? E camminerò tanto da accorciarmi e scomparire? Come e quando darò libero sfogo alle mie volute e non volute cerebrali? Diventerò finalmente una persona migliore? Avrò davvero qualcosa da raccontare al mio ritorno? Tornerò? Ma soprattutto: perchè non ho paura?





.Cinque.


.Sparanoia.



Stamattina mi sono svegliata. Lo so: niente di strano in questo. Mi sveglio quasi tutte le mattine, almeno quelle in cui lavoro. Altrimenti opto per alzarmi direttamente nel primo pomeriggio. In fondo, è già stagione di letargo qui.
Il gatto mi aspettava già pronto in pole position di fronte alla ciotola, che ho riempito ad occhi chiusi con un gesto automatico. Struscino e fusa riconoscenti di rito. Cambio dell'acqua e aggiunta di succulenti croccantini alla ciotola del cane. Leccatina e scodinzolamenti di rito. Ci sono volte in cui mi convinco d'essere considerata come un utile animale domestico.
Pipì, lavarsi la faccia e altre zone del corpo col metodo random, vestirsi. Smozzicare una brioche, prendere il BeTotal Plus, che ho scoperto farmi più effetto del caffè ed essere, per ovvi motivi, estremamente più pratico, accendere e spegnere la tv non appena appare la prima immagine. No, non ce la faccio proprio.
Radio. Khhhvvhhhrrrrhhhuuusssììnacosagggrraanndepeemmmeeee... rivedo mio nonno che canta per mia nonna appoggiato allo stipite della porta della cucina mentre lei gli prepara il caffè. Spengo la radio: i ricordi malinconici di prima mattina non sono tollerabili.
Prendo in mano la chitarra, attento a un paio di cromatismi, maledico bonariamente l'amico Peppe che me li ha spiegati e raccomandati, mi convinco sempre di più che devo decidermi a comprare un violoncello. Impugno la chitarra come un violoncello, proseguo nei cromatismi. Mando a cacare la chitarra.
Pennelli, proviamo a proseguire con l'ultimo quadro in atto. Ho finito il rosso. Disastro, mi serviva. E' finito anche il blu. Sono finita io, praticamente ho finito i colori: niente colori primari, niente colori in generale.
Insomma, stamattina mi sono svegliata e ho capito subito che era una giornata di merda. Tanto più che dovevo uscire e andare a pagare l'assicurazione che, per quanto bassa, incide non poco sul mio già di per sé scarso introito mensile.
Così ho preso l'auto e mi sono sparata da brava tutti i chilometri che mi separavano dall'ufficio del mio assicuratore. Ma, ecco la folgorazione: mentre sono ferma ad un semaforo lungo il percorso, l'occhio mi cade su una vetrina tirata a lucido.
- Tò - penso - finalmente hanno affittato.
Una macelleria equina. Araba.
- Bene! - penso ancora - Viva l'integrazione! Qui, nel cuore della Padania, era ora che...
Mentre formulo questo pensiero, mentre esulto un tantino, mentre sono sull'onda del "siamo tutti clandestini", mentre i miei occhietti vispi scivolano sui caratteri arabeggianti incomprensibili, ecco comparire una gigantografia di quella che al momento poteva sembrare una foto dell'arena di Verona durante un concerto, invece no: aguzzo bene la vista e mi capacito che nella metà inferiore della vetrina campeggia un poster de La Mecca, traboccante di fedeli al chiar di luna. Strabuzzo gli occhi: subito sotto, un librone d'oro aperto su una non meglio precisata pagina che esprime non meglio precisati concetti, non in italiano almeno. Il Corano. In una teca di vetro, manco fosse la testa di Nefertiti al Cairo.
Nella manciata di secondi che mi separano dal semaforo verde, nella mia testa si mischiano, come in un frullatore impazzito, centinaia di pensieri ed immagini: Bin Laden, le torri gemelle, il pentagono, le lapidazioni, le impiccagioni, l'infibulazione, il burqa, lo chador/hijab, la danza del ventre, i magrebini, la guerra, l'America, il petrolio, l'Iraq, l'Iran, l'Afghanistan, tutti gli altri paesi che finiscono in an, buona parte dell'India, svariati paesi dell'Africa, il terrorismo, Bush, Blair, Aznar, Berlusconi, la Madonnina del Duomo di Milano, gli attentati, la caserma di Santa Barbara a Milano, Londra, Madrid, i Mujaheddin, i Muezzin, l'Onu, la ricerca sul Marocco che ho fatto per la tesina agli esami di terza media, quel tunisino che voleva dare a mio padre un gregge di pecore uno di capre e novantanove cammelli per portarmi in un kibbutz, gli aiuti umanitari, le missioni di pace, Arafat, la Palestina, le bombe, gli integralisti, i capitalisti, i diamanti di sangue, i bambini che muoiono di fame, i bambini soldato, le peggio malattie, le vacanze a Sharm el Sheikh, Jovanotti che canta con Ligabue e Piero Pelù "Il mio nome è Maipiù", lo Yemen, il mio amico soldato che sta nell'aeronautica in missione, Saddam Hussein, le moschee, Viale Jenner, l'Islam, il kebab, il kaftano, gli ottomani, mammaliturchi, le crociate, Maometto, i musulmani, Calderoli, le dittature, il pizzaiolo tunisino che mi continua a ripetere quanto gli ricordo sua figlia che è sposata e vive in Marocco, l'immigrazione clandestina, gli sbarcati, Messina, i carri armati, i bombardamenti, la striscia di Gaza, Israele, Hitler, il ragazzo egiziano che due anni fa al mare ci ha provato prima con mia cugina e poi con me, i campi di concentramento, i kamikaze, le guerre sante, mio nonno che ventitre anni fa disse a mia madre di non chiamarmi Miriam perchè chissà cosa combinano zittizitti giù di là che un domani ti sale su un aereo e solo perchè ha un nome così te la fan fuori, i martiri, Hina, Sanaa, tutte le altre, sangue sangue sangue, la paura, l'orrore, la paranoia.
Cerco di richiudere la bocca e di scorgere qualche figura umana dietro al vetro: all'interno della macelleria, un ragazzo, che avrà al massimo vent'anni, mi osserva immobile. Ha il sorriso inebetito e lo sguardo perso nella mia scollatura troppo generosa. Solleva gli occhi e continua a sorridermi, mentre mi domando se trova il mio trucco troppo sfacciato per la sua cultura. Non c'è traccia di rimprovero nei suoi occhi, solo un tasso ormonale troppo alto e una leggera percentuale piacionica nell'atteggiamento.
Il semaforo diventa verde e io mi dimentico di tutto. Gli offro mezzo sorriso, giusto perchè i nostri sguardi si sono incrociati per un attimo. Solleva la mano in un accenno di saluto, quasi sorpreso e intimidito.
Alla fine, è un uomo anche lui.




.Quattro.


.Benzoino.

Fumo d’incenso, davanti ai miei occhi, diventa solido trasformista. Rivelami i miei pensieri, stupiscimi con ciò che già so. Non farti pregare. Sono io l’altare cui ti sacrifico. Non farti pregare.
Seduta a gambe incrociate, medito in sordina. Ascolto una flebile me. Ritrovo una mia spiritualità, ma non la chiamo dio. La ribattezzo Io.
Piccolo ventre di fuoco, crepita piano, sottovoce: che nessuno sappia dei tuoi inconfessabili desideri.
Respiro. Respiro, che per quanto profondo rimani superficiale, quali e quante porte vorresti aprire al tuo passaggio? A creare corrente d’aria nell’anima, tutti i miei sogni, impilati con cura negli anni, voleranno via, senza il fermacarte della razionalità. Non importa: erano tutti vuoti, immacolati, mai usati. Non preziosi.
Liberiamoci senza rimorsi degli orpelli inutili, offriamo scompiglio alla monotonia: sono certa che ci sorriderà, riconoscente, più capace di noi d’accettare il cambiamento.
La nuova visione di me si distacca dal reale e per questo diventa più reale. Ora che io sono me, non mi riconosco più. Sono meglio. Mi contemplo tristemente: che sconfitta scoprire d’essere migliori di come si vive. Migliori di come ci si vive.
La consapevolezza tintinna piano, incerta, come piccoli campanellini d’argento mossi dall’occhio di chi osserva. Risveglio lieve di una coscienza riluttante.
Mi avvio in cerca di me, alla cieca, guidata solo dal rumore delle mie unghie che scavano. Come un segugio vado a stanarmi. Il mio occhio muove intere pareti dentro di me: mi scopro murata viva da mattoni costituiti per la maggior parte da alibi inconsistenti.
Il modo migliore per sapere cosa si vuole è non sapere cosa si vuole. Una scatola vuota può essere riempita con qualunque cosa, così il niente può rapidamente trasformarsi in tutto, dire non so equivale a dire io saprò. Quindi io so.
Rapido, il mio occhio demolisce ciò che resta dei miei nascondigli. Ormai non resta una sola pietra da scagliare o dietro cui occultarmi.
Appare un corridoio inaspettato nel quale vacillo, disorientata, verso l’uscita. Un dito scorre lungo le pareti lisce, solide, invitanti: niente appigli, niente insenature, niente porte. Solo un imbuto che mi porta verso l’uscita, verso la Luce, come un utero. Sono smarrita e grata.
I miei piedi nudi sguazzano felici nella loro nuova coscienza di sé. Inseguita dai miei stessi passi, condannata forse a non raggiungermi mai, resto immobile. Paralizzata dalla libertà di movimento.
Un passo.
Avrò nostalgia?
Un altro passo.
Saprò come muovermi?
Ancora un passo.
Sono fuori di me.

L'universo è infinito e compatto: inizio a dare forma a questa mia nuova dimensione.



.Tre.


.Esorcismo.


L’insonnia mi fa sentire come una caffettiera piena. Sono piena e febbricitante. Di pensieri, riflessioni e adrenalina. Sono pura caffeina. Caffeina e metallo rovente. Sono persino il fuoco al di sotto della moka. Con le mani, mi sforzo inutilmente di abbassare la fiamma.
Ho tostato a fuoco lento i miei pensieri: sono scuri, piccoli e duri come chicchi di caffè. Amaro, ma non ristretto. Un caffè lungo e scuro come tutta la notte. Ho avuto tanto tempo per macinarli fino a farne polvere grezza, che si appiccica alle dita, graffia i polpastrelli, sporca le unghie. Polverosi pensieri grezzi che m’insozzano le falangi.
Penso a lui, che non pensa a me. Che quasi sicuramente pensa a lei. Che non pensa a lui. Che ha chiamato lei. Lei. Che non richiamerà. Io lo chiamerei. Fino a perdere la voce. Di notte. Ogni notte. Penso a lui. Penso ai pensieri pensati di lui. Pensieri mai espressi per pudore. Su di lui. Dentro di me. Sopra di me. Sono sovrastata. Da lui e dai pensieri di lui. I suoi e anche i miei. Li immagino e immagino lui.
Gorgoglio, sotto pressione: la valvola a forma di cuore sbuffa impaziente vapore. Non è comunque sufficiente, sono un continuo ribollire. Temo che finirò col bruciarmi. Di me resteranno soltanto incrostazioni odorose, quando tutto si sarà freddato. Sarà stato freddato. Dall’indifferenza, dall’assenza, dalla distanza, dalla dimenticanza. Vorrei essere più simile alla misticanza. Colorata, riccia e vegetale. Non fa male. Non brucia, solo vive. E vegeta. Sarebbe bello. Ciao, come stai? Sono viva e vegeto. Senza muovermi, senza pensare, solo respirare. Prima ossigeno, poi anidride carbonica. Essere vegetale. Semplice fotosintesi quotidiana, senza pensieri, con la luce. Non stare sveglia e al buio. Di notte. Sono caffè. Sono caffè nero bollente.
Per toccarmi dovrò usare guanti da forno, per non scottarmi. Verserò con attenzione le mie liquide vanità notturne, lentamente, cercando di non sporcare. Per toccarmi tu, invece, dovrai aspettare che mi intiepidisca, poiché non vorrò ferirti.
Sarai paziente? Soffierai delicatamente su di me? Mi lascerai desiderare la tua bocca, affacciata al bordo della tazzina?
Respirerò del tuo respiro, direttamente dalle tue labbra. Non voglio più aria nuova. Ciò che di me abitualmente disperdo in molecole, a te lo offro come aroma. Scioglierò lo zucchero per te, mi farò dolce.
Le ore si diluiscono nel silenzio, quando tutto è fermo, la notte. Vorrei uscire, distrarmi a lungo, occupare il tempo, vestirmi bene, truccarmi tanto, entrare in un locale, lasciare cappotto e orgoglio appesi all’ingresso, portare con me solo dei bei denti e un’ampia scollatura a forma di vittoria. Non sarebbe difficile.
- Vuoi da bere, dolcezza?
- Sì, grazie, doppio e con ghiaccio.
- Vieni spesso qui?
- No, ma questo posto mi piace. E tu?
- Io vengo sempre, ma mi piace da stasera.
- Bella giacca…
- Belle scarpe…
- Bello sguardo, cosa pensi?
- Che mi piaci: chissà come baci?
- Molto bene, anche tu mi piaci.
- Bevi ancora?
- Sì, per ora…
- D’accordo, offro io.
- Non vorrei approfittare…
- Figurati, è un piacere!
- Va bene, sei gentile.
- Non vorrei farti ubriacare…
- Ma davvero? Che signore!
- Sarei io ad approfittare…
- Sarei io quella gentile…
- Dai, non farmi immaginare!
- Più che dire vorrei fare…
- Tra il dire e il fare, dimostrare…
- Ti dimostro, se poi usciamo…
- Sì, usciamo, dove andiamo?
- Abiti lontano?
- No… vuoi venire?
- Non sai quanto…
- Finirò con l’impazzire!
- Fammi strada che ti seguo.
Non sarebbe difficile, lo vedi? Mi basterebbe uscire, sorridere, farmi comprare e dire di sì. Lasciarmi comprare da qualche complimento riciclato, qualche frasetta collaudata, qualche sorriso stropicciato e qualche bicchiere offerto come un investimento. Non sarebbe difficile, non sarebbe per niente difficile. Con te. Con chiunque altro mi sarebbe completamente inconcepibile. Ma con te, no, non sarebbe difficile. Tu non saresti ordinario, io lo so. Non saresti scadente, dozzinale. Saresti, semplicemente. Per questo non sarebbe difficile.
Non lo sarebbe stato nemmeno la prima volta che ci siamo visti. Quando mi hai parlato piano, sottovoce, sussurrandomi suggestioni all’orecchio e ogni tua più piccola sillaba ha colpito impietosa i miei timpani, rimbombando senza filtri nella mia scatola cranica. Un fragore mille volte ripetuto alla mia mente, che rimbalza senza fine alla ricerca vana del suo dopo.
Da allora mi lanci sguardi da interpretare. Continui a farlo, nonostante lei. I tuoi occhi mi parlano in una lingua sconosciuta. Ero brava con le lingue straniere, a scuola. Di cosa sa la tua lingua? Avrei voluto saperlo ancor prima che mi parlassi. Ti avrei baciato, subito, senza fiatare. Le parole sono così volgari, così limitate… i miei baci avrebbero parlato, poi, da soli. Ti avrebbero gridato tutto a gran voce, in silenzio, direttamente nella tua bocca, facendo eco nell’anfiteatro candido dei tuoi denti, accoppiandosi ai tuoi respiri, senza concepire nemmeno una vocale.
Avresti pensato che sono avventata o frivola? Ma la verità è diversa, la verità è che mi piaci. E se mi piaci, mi piaci subito e se ti voglio, ti voglio subito. Non sono una facile, sono una semplice. Non lasciarti ingannare dal mio alone di stupida superficialità: lo indosso come farei con un buon profumo. Gli uomini sono sempre irresistibilmente attratti da tutto ciò che è disimpegnato. La verità è che di tutti gli uomini per cui i miei ormoni potrebbero impazzire, tu sei quello che i miei ormoni hanno scelto di amare. È stato ormone a prima vista. Non c’è rimedio agli ormoni sentimentali, temo.
Gli altri potrebbero avermi come nuda proprietà, ma non potrebbero mai abitarmi come fa già da mesi il tuo pensiero, una presenza ormai necessaria per dare senso allo spoglio domicilio della mia vita: il mio cuore ti ha scelto come inquilino e io non ho cuore di sfrattarti.
Di te, col tempo, ho imparato ad amare i dettagli: i denti accavallati, perché ogni volta che sorridi pare si affollino in una gara ad esprimere per primi ciò che provi. I tuoi occhi che guardano distrattamente l’orizzonte mentre mi parli e poi tornano repentini a posarsi su di me, perché mi hanno insegnato a godermi i tuoi sguardi, ad attenderli: mi hanno insegnato a domare l’impazienza e a trasformarla in desiderio. Le rughe che restano anche quando cambi espressione, come se le emozioni esitassero ad abbandonare il tuo viso. Le vene in rilievo che ti percorrono le braccia, perché portano la vita dal tuo cuore alle tue mani e mi viene sempre da pensare che in ogni tuo gesto c’è la parte migliore di te. Il modo in cui mi sussurri complimenti arrossendo. L’adolescente che ti abita, di tanto in tanto. I respiri che fai tra una parola e l’altra. Le parole che non mi dici, perché le parole non dette sono quelle più sentite. E io le sento.
Parlami. Parlami, dunque. Parlami in modo sporco, dimmi un sacco di porcherie. Eccita il mio cuore. Dimmi tutte quelle parole che inquinano l’anima, contaminano i respiri, infestano la mente, la marchiano, la imbrattano, la seducono nel disonore della falsità. Incantami. Dimmi ti amo, dimmi per sempre, dimmi che non lo faresti mai. Incatenami. Colmami di aspettative. Mentre ti aspetto, spererò che tutto si avveri. Mentimi. Mentimi e dimmi che va tutto bene. Sorridimi, mentimi: va tutto bene…
Calma. Va davvero tutto bene: ringraziando le circostanze, non sai nulla di queste mie tristi mediocrità notturne.
Quante persone sto frequentando pur d’evitarti? A quanti mi sarei potuta dare in pasto per sopperire alla tua assenza? Da quanti mi sarei potuta lasciar sbranare ostinandomi semplicemente a pensare: “Ma sì, tanto che importa? Ammazziamo il tempo finché siamo vivi”.
Rifletto sul fatto che da mesi sto avendo rapporti umani non protetti e non ho neanche adottato metodi preservativi per me stessa: spero soltanto di contrarre una sindrome che mi renda immune dalla deficienza acquisita. Quella altrui, si intende.

Continuiamo a perdere occasioni, irrimediabilmente. Ma dimmi: in questa notte insonne, non stai forse sognando anche tu l’incubo più dolce?
Amare è terrificante. Amare è assolutamente sbagliato. Amare è il mio desiderio più lontano. Amare mi tiene sveglia la notte. Amare: non voglio farlo. Nemmeno tu vuoi, lo so. Quante volte non ce lo siamo detti? Eppure l’abbiamo capito.
Aspetto sempre tutte quelle telefonate che, so bene, non farai mai. A volte è solo una questione di tempo. Altre volte è solo una questione.
Trito domande con i denti, mastico risposte, ingoio amare verità. Chi non mi vuole, non mi avrà. Non ho intenzione di concederti nemmeno più il mio tempo lontano da te. Temo più di tutto d’essere caduta tra le tue braccia per eccesso di solitudine e non per scelta. Le persone non sono animali da compagnia.
Ma io volevo rinascere al tuo fianco...
Se non potrò crescere questa nuova vita con te, l’abortirò senza rimorsi. Se non hai il coraggio né di prendermi né di lasciarmi andare, sarò io a liberarmi di te. A sopravviverti.
Sopravvivrò anche a questa notte in bianco. Io stessa diventerò bianca, nuova, intonsa. Mi annullerò per poter addizionare nuova vita. Forse diventerò pericolosa, perché saprò di poter sopravvivere ancora e ancora e ancora e ancora, tante altre notti, senza di te. Senza nessun altro che non sia me. Forse perderò il senso della pietà acquistando una nuova consapevolezza. Acquistandola a costo di me stessa. Diventerò fiera e spietata come Dio. Non ci sarà più caffè a tenermi sveglia e forse non avrò neanche più bisogno di dormire.
Ma ora sì, ora devo: la notte ha deposto già da tempo le sue piccole uova luminose nel cielo. Le coverò nel caldo delle coperte per il tempo che resta da qui al mio risveglio. Domani mattina, quando si schiuderanno tutte insieme, libereranno nel buio livido il loro fulgore, coleranno nel nero, lo diluiranno e nascerà una nuova, incredibile alba. O forse avrò un risveglio à la coque, con un arrendevole guscio di protezione all’esterno e un cuore caldo e morbido come lava pulsante all’interno. Un cuore caldo e morbido come lava pulsante all’interno.
Pum. Pum. Pum. Pum. Colpi. Pum. Secchi. Pum. Forti. Pum. Sordi. Pum. Sento. Pum. Un colpo. Pum. Forse. Pum. Il primo. Pum. Magari. Pum. L’ultimo. Pum. Che importanza. Pum. Ha. Pum. Se. Pum. È. Pum. Il primo. Pum. O. Pum. L’ultimo. Pum. ? . Il mio. Pum. Cuore. Pum. Vuole. Pum. Battere. Pum. Ancora. Pum. Mi. Pum. Vuole. Pum. Colpire. Pum. Ancora. Pum. E ancora. Pum. E ancora. Pum. E ancora. Pum. PumPumPumPum. Forse me lo merito.
Chiudo gli occhi, ormai il giorno è vicino: al mio risveglio, laverò tutti questi miei pensieri nel tiepido silenzio del primo mattino, stingerò la notte e le sue piccolezze con poche gocce di rugiada, recupererò il sale dalle lenzuola, una volta asciugate, lo conserverò come prezioso oro bianco, lo userò per condire i miei giorni migliori.
Morfeo mi accoglie, paterno: mi sgrida dolcemente per avere tardato tanto, per averlo fatto stare in pensiero. Lo abbraccio, lo bacio, mi perdona. Mi dona a mani aperte qualche sogno che non ricorderò.
Poche ore dopo, musica dolce nell’aria, mi sveglia. Ore sei del mattino.
Dove sei in questo mattino?
Ho letto alla radio che tu non ci sei. Le ho detto: “è inutile che canti, tanto lui non è qui” e le ho dato un colpo secco con la mano ancora addormentata, come a scacciare il ronzio di una mosca fastidiosa. Niente musica nell’aria già satura d’assenza.
Dove sono in questo mattino?
Uno strascico di malinconia è ancora adagiato sui ripidi gradini che portano dal mio cuore alla mia mente, come il velo di una sposa che è appena stata abbandonata sull’altare. Gli sorrido. Compiaciuta. Sorrido, ogni volta che mi sveglio col terrore della solitudine nel petto, col dolore che mi serpeggia nelle viscere, con l’orrore che mi pianta i denti nella pancia e succhia via la mia vita come un parassita. Io sorrido, sorrido sempre. Sorridi sempre: al nemico dà fastidio.
Il nemico è dentro di me, ha mutato forma, si è fatto pensiero dominante. Ha marcato tutto il territorio, convinto che così nessuno potrà più entrare. Sono stata io a lasciargli libero accesso, ad accoglierlo a braccia spalancate quando è venuto a bussare alla porta della mia mente, ad affezionarmi, a idealizzarlo, a volerlo con me. Per tenermi compagnia, almeno per un po’.
Ma ben presto ho realizzato che il pensiero dominante è un pericoloso divoratore: ha mangiato tutti gli altri pensieri, svuotato frigoriferi e dispense dai sogni, saccheggiato l’orto e il frutteto dai buoni propositi, bruciato i campi di dignità e orgoglio, ingoiato vive tutte le riflessioni che coltivavano amorevoli desideri. Ormai non mi è rimasto più niente da offrirgli. La sua fame non ha fine, ma io non mi farò mangiare per ultima: io oggi scelgo di scacciarlo, io oggi scelgo la libertà. Perché tutto ciò che domina, toglie libertà. E tutto ciò che domina e toglie libertà o è brutto o fa male o è brutto e fa male.
Schiudo gli occhi al mio nuovo presente. La stanza è rimasta immobile, dentro di me si è mosso qualcosa. Qualcosa sta germogliando, forse una nuova me.
Dalle imposte socchiuse filtra poca luce. Piccoli punti luminosi galleggiano nell’aria, coriandoli di vita, pois di sole. Nevica luce nella mia stanza. Cade su di me e mi scioglie dal sonno. Esco dal riparo bianco e soffice delle coperte come un bucaneve. Da bambina pensavo sempre che i bucaneve sono coraggiosi, perché sono gli unici fiori che sbocciano in inverno, quando tutti gli altri se ne stanno nascosti in attesa della primavera. Con ostinata determinazione si fanno strada attraverso la gelida indifferenza del ghiaccio e si godono il Sole. Il Sole…
Apro la finestra e chiudo fuori i pensieri della notte. Un Sole Re Mida mi tocca, trasformandomi in oro puro. Respiro profondamente: la luce invade ogni cosa, penetra le mie pupille, si riversa nelle mie narici, quasi mi soffoca. Si travasa copiosa fra le mie labbra aperte: la ingoio ad ampie sorsate, deglutisco densa, dorata potenza. Mi rigenera. Si irradia rapida nel mio corpo, raggiunge la mia mente.
La mia mente è piena di luce, ora. Ebbra. Di nuovo. Sorrido. Sono in overdose. Ora nulla ha più davvero importanza. Mi stupisco ogni volta di come solo il buio della notte sa donare nuova luce alle cose. Anche quelle cose che, col tempo, lascerò inevitabilmente sole. Sole come il Sole là fuori. Siamo soli io e il Sole. I miei occhi esclamano al cielo. Ci guardiamo e ci sorridiamo, perché ora sappiamo cosa fare. Da oggi la mia vita brillerà di luce propria. Siamo forti e luminosi, oggi, io e il Sole. Forse io stessa sono il Sole. Mi preparo ad uscire dalle nuvole: questo Sole non va sprecato.



.Due.


.Afa.


-Mi spieghi, per piacere?
Cerca il mio sguardo, ma glielo nego. Dopo una breve esitazione, sospiro, mi volto e mi avvio con passo spedito verso la macchina: ci sono momenti difficili che vanno affrontati solo dopo aver fatto un gran respiro profondo, un respiro che va preso, trattenuto e non va mollato fino alla fine. Una specie di apnea decisionale: se arrivi fino in fondo con una boccata sola, è fatta. Trattieni il respiro, trattieni la determinazione. O q
uantomeno l'idea della determinazione.
La strada è ancora umida, nonostante l'acquazzone sia terminato da più di un'ora e il soffocante sole estivo si sia già attivato a trasformare la piacevole frescura in invadentissima, appiccicosa, soffocante afa. Tutt'attorno è un brulicare di persone, voci e rumore di traffico.
Accelero il passo e, nella frenesia di fuggire la risposta, attraverso sufficientemente lontano dalle strisce pedonali da costringere un paio di macchine a frenare bruscamente e meritarmi un "vaffanculo!" a voce alta.
- Miriam, non mi ignorare.
Sta usando il suo miglior tono imperativo, quello categorico dell
e grandi occasioni, corredato da sguardo serio, estremità ad anforetta e potenti sbuffi taurini dalle narici. Ma lo conosco a sufficienza: anche se gli volto le spalle, sento le sue braccia sollevarsi e ricadere sbattendo ai lati del corpo mentre, impotente, cerca di piegare la mia ostinazione.
Frugo nella borsa in cerca delle chiavi, ma non le trovo. In compenso sbuca, come dal cilindro di un prestigiatore, una sigaretta tutta spiegazzata e con il filtro appeso per un brandello. Peccato: avevo smesso. Metto fine all'agonia del tamponcino giallo e mi ficco in bocca ciò che resta del mio vizio.

- Ma... non avevi smesso?
Mi acciglio nella ricerca dell'accendino e inizio a sentirmi davvero infastidita dalla sua presenza. Possibile, poi, che quando si è irritati non ci sia mai modo di trovare ciò che ci serve? Soprattutto le parole. O di liberarci di ciò che non vogliamo? Soprattutto le parole.
- Miriam, dai...
- Oh, Luca, ma la vuoi piantare? - sbotto incenerendolo e serrando le labbra intorno alla cartina - Quello che penso te l'ho già detto.
- Quindi tu le dai ragione?
- Ma è poi questione di avere ragione o torto? Io non ne vogl
io più parlare... Non ne voglio più parlare. Di lei, di te, di me. Non me ne frega niente. Mi chiamo fuori, non mi interessa. Anzi, sai cosa ti dico? Ho appena deciso che stasera mi ubriaco, sì, mi sbronzo pesantemente, poi esco per strada, mi sdraio per terra, come un cane, e dormo lì. Mi passasse sopra un TIR o un intercity, io me ne frego! Me ne frego di te. E me ne frego di lei. Me ne frego persino di me. Me ne frego pure di Dio e dei sacramenti. Me ne frego dei sacramenti, di Dio, di me, di lei e anche di te! Fanculo!
Silenzio. Distolgo lo sguardo. Un ragazzino, provvidenziale.
- Scusa, hai da accendere?
L'ho praticamente placcato mentre mi passava serenamente accanto. Muto, mi porge l'accendino: credo sia stato più un atto di timore reverenziale che u
na gentilezza.
Una, due, tre boccate, rapide, nervose. Il grigiofumo mi riempie i polmoni, sgradevolmente. Ora sto bene: sono completamente sgradevole. Fuori e dentro l'anima, fuori e dentro il mio corpo, solo amaro in bocca. Ora sono tutta in sintonia.
Cerco di non concedergli i miei occhi, avverto i suoi perlustrarmi il viso: ne setacciano i segni, dell'età e dell'irrequietezza. Sta aspettando. Che io ceda. Sta aspettando. Un mio cenno, un mio sguardo, un mio gesto di debolezza.
Obliqua, osservo la maglietta verde che spunta come la farcitura di una torta fra le dita delle mani, tornate a poggiarsi sui fianchi: penso a quante volte le mie g
ambe si sono avvinghiate attorno al suo bacino nei giochi d'infanzia, quando entrambi eravamo senza sesso, come gli angeli; penso a tutte quelle occasioni in cui avrei voluto serrarle di nuovo, una volta cresciuti, in situazioni ben diverse, in contesti adulti...
Torno a tuffare le mani nella borsa, lottando per non cedere alle mie stesse tentazioni, scaccio i pensieri morbidi e allettanti, li lascio rotolare via.
Improvviso e distante, un familiare, ben distinto tintinnare metallico. Sorriso di plastica sbattuto in faccia, consapevolezza immediata, diretta come uno spillone piantato nel cervello: le chiavi, le ha lui. Realizzo solo ora. Le dimentico sempre, sempre al bar, maledizione! E lui lo sa, per questo le ha prese.

La complicità nasce spontanea e non ha bisogno di essere coltivata: come un piccolo rampicante, si avvinghia ai rapporti, da cui trae nutrimento, senza intaccarli, senza disturbare, semplicemente abbellendoli con la sua presenza. Come l'edera, è segno di fedeltà. E la fedeltà è una promessa, la lealtà un debito.
Ma cosa ce ne facciamo della complicità, se non la chiamiamo amore?
- Dammele.
- No, ora tu mi ascolti...
- Luca, non fare lo scemo: dammi le chiavi e facciamola finita.
- No, ora mi stai a sentire!

Demordo. Galleggio. Abbasso lo sguardo, non ce la faccio. Denti affondati nel labbro inferiore. Sopporto, attendo, respiro. Respira. Poi parla:
- Otto anni, capisci? Sono otto anni che io e Alessandra stiamo insieme. Otto.
Lo dice come se un fottuto numero potesse avere senso. Otto cos'è? E' solo un cazzo di numero, tutto aggrovigliato su se stesso, tutto compiaciuto da se stesso. Otto è il simbolo dell'infinito, quando si sdraia perché troppo stanco del suo piccolo, tondeggiante ruolo matematico. Ne è il simbolo, non la promessa. Solo il simbolo, non la certezza. Otto non è la verità.

- Perché, se fossero stati otto mesi sarebbero forse valsi meno?
Ennesima boccata amara: non amo essere così acida con lui, ma non voglio negarmi questi toni così accesi e non è solo per una questione di confidenza fra noi. Forse perché non amo la situazione in cui mi trovo. Forse perché lui non ama me.
- Otto anni sono tempo, Miriam, otto anni della mia vita... Otto anni sono un investimento.
Resto stordita mentre realizzo il concetto che mi ha appena espresso. A questo si riduce l'amare qualcuno? Ad uno squallido investimento? Ad un obbligo di firma per il tempo speso? E' forse un mutuo l'amore? Una forma di affitto a riscatto? E cosa dovremmo arrivare a possedere, alla fine, grazie al tempo che dedichiamo a c
hi amiamo? Su cosa avremmo diritto di farci rivalsa? Lo si fa solo per proprio tornaconto? Non erano forse anni e anni che io amavo lui, in silenzio, senza pentirmene mai? Sto forse mentendo, ora?
- Punti di vista - concludo allungando la mano per recuperare ciò che è mio, foss'anche soltanto il mio cuore.
- No, aspetta: tu mi avevi detto che...
- Oh, ma insomma? E' più importante quello che ho detto io o quello che avete vissuto voi?
- Sai bene quanto conta ciò che dici per me...
Ci sono spifferi d'anima che ti fanno tremare anche quando fa caldo,
è inevitabile.
- Ho detto solo la mia onesta impressione, cioè che Ale vuole stare bene e non pensare, passare qualche bel momento con te e progettare poco. Fine.
- Ma dopo otto anni...?
- Oh, 'sti otto anni e otto anni! Ci hai rotto le palle, Luca! E ridammi le chiavi!
Improvviso, Silenzio cala nella via con la sua cappa di tesa immobilità. Un passante, preoccupato dalla repentina rarefazione dell'aria:
- Signorina, va tutto bene? Questo signore la sta forse importunando?
- Sì! ...no, cioè... grazie, lasci stare: è tutto a posto.
Passi poco convinti che si allontanano, incrocio rapido dei nostri sgua
rdi.
- Devo trovare un senso a questa cosa, mi capisci?
Questa mania delle persone d'avere sempre il perfetto controllo, la perfetta comprensione su tutto.
- Onestamente, no.
- Sto diventando paranoico, secondo te?
So come e quanto sa leggermi dentro: per l'occasione indosso soltanto dell'espressivo mutismo.
- Forse hai ragione tu, scusami. E' che abbiamo attraversato t
ante cose in questi anni... sempre da un estremo all'altro... siamo sempre stati al limite di tutto, secondo me.
- Questo potete saperlo solo voi.
- Io so di aver commesso degli errori. E tanti.
Non posso impedirmi un moto di tenerezza.
- Be', ma è normale, sei un essere umano. Beckett diceva "Fallisci ancora, fallisci meglio"... Si sbaglia, si cresce, si impara, ci si evolve e con noi tutti i nostri rapporti. Tutti, nessuno escluso. Ciò che vi accade è normale. Questo devi capirlo e accettarlo, Luca...
- Sai, a volte mi sento così in colpa, però tante cose non sono dipese da me... Non voglio spiegare ogni cosa, sarebbe penoso e basta. Solo io e lei sappiam
o ogni cosa. E comunque non le ho mai dato un motivo valido per tradirmi.
- Maturità è pagare il prezzo accettato.
- Infatti, credo di aver accettato anche troppo e ora ne sto pagando le conseguenze.
- No, quello che intendo dire è che tu hai accettato di perdonarla, hai accettato il tradimento: ora non puoi recriminare niente, lei ha ragione in questo. Hai scelto di perdonarla? Bene. Ora però smetti di punirla.
- Ma io sono stato capace di riconoscere le mie responsabilità, ho voluto darle un'altra possibilità, l'ho desiderato!
L'ostinazione puzza d'orgoglio. Incredibile come esseri uman
i adulti siano capaci di nascondere così bene spiritelli adolescenti.
- Luca, però in questo caso l'essere magnanimi non basta, ci vuole anche una forte dose di consapevolezza: si rade al suolo e si riparte da zero, si ricostruisce se si ha la forza e la volontà di farlo.
- Sai, Mimì, io ero davvero pronto a ripartire da capo con lei, ma quella domanda non mi dava pace: cosa le ho fatto mancare per farla arrivare a questo?
- Se la risposta era niente, potevi andartene con la coscienza pulita.
- Ci ho pensato così tanto... ma più passa il tempo, meno questo tradimento passa... questo tradimento non passa. E' un mio problema, lo so.
- No, cazzo! Il problema è come scegli di affrontare la cosa. Vuoi
lasciarti schiacciare da questo? Vuoi accettarlo e passare oltre? Vuoi dimenticartene? Vuoi allontanartene? E' questione di cosa scegli.
- Ora, dal tono che stai usando, pare che l'errore l'ha commesso lei però il colpevole sono io.
- Noi siamo responsabili di quello che ci accade, anche a livello emotivo. Certo, possiamo attraversare momenti di debolezza, ma se le persone riescono a ferirci o renderci felici è solo perché noi glielo permettiamo. L'incapacità di fare barriera o l'eccesso nel fare muro non sono giustificazioni. E' una questione di scelte: non è egoismo, è realismo.
Per un attimo sembra capire, i suoi occhi mi danno pienamente ragione, stupiti e muti. Poi si abbassano rapidamente e cambiano idea:

- Comunque ora stiamo bene.
- Allora cerca di capire se questo benessere può essere un nuovo inizio, con una maturità e una consapevolezza diverse, o un sole di mezzanotte: vivi quello che ti si pone davanti e scegli in base a come vuoi stare.
- Voglio stare con lei e voglio stare bene.
Un rumore sordo, una fucilata in pieno petto. Il sangue che defluisce rapidamente nei talloni, la testa che ciondola piano, svuotata. I pallini sforacchiano ciò che resta della mia povera persona: e io che avevo sperato, per qualche giorno, a
vevo pensato che forse... E io che pensavo fosse sufficiente sapere come tu prendi il caffè e che tu sapessi a che ora punto la sveglia al mattino per fare di un me e di un te un noi.
In affanno, mi sforzo ancora di mantenere il mio semplice, amichevole ruolo, di contenere le lacrime dietro la barriera sicura delle iridi.
- Be', quest'esperienza ti avrà senz'altro insegnato qualcosa.
- Sì, ma non ho ancora capito bene cosa: è ancora tutto troppo doloroso, troppo in divenire...
Barlume di speranza: smetto di scheggiare, mi gioco un'ultima provocazione:
- Il travaglio dà sempre alla luce una nuova vita, non lo sai?
- Certo, ed è una nuova vita che io voglio iniziare con lei: non ca
pisco, perché non mi aiuti in questo? Io voglio superare i miei limiti e tu sembri quasi remarmi contro...
Improvvisamente, mi sento soffocare: l'aria mi si appiccica addosso come una pellicola trasparente, mi occlude i pori, mi intrappola. Ho paura, perché non posso evaporare. Sembra che l'unico punto da cui possano uscire i miei pensieri sia la mia bocca. Non ho via di scampo: sono un geiser attivo in pieno centro città.
Dio, come vorrei essere trasparente: se solo tu potessi vedere come ogni cosa in me si dissolve, si diluisce, si fa poltiglia impalpabile, quando sono in tua presenza. Come il mio cuore si ritrova a nuotare solo e felice all'interno della cassa t
oracica, come un pesce rosso con un acquario pieno di limpida, liquida grazia tutto per sé.
Ormai sono al punto di non ritorno: esondo, mio malgrado.
- Non so come aiutarti: te la sei scelta, ora tienitela.
- Miriam, ma...
- Ma cosa? Ma cosa? Alessandra è sempre stata incline al tradimento, non è una novità: appena ne ha avuta l'occasione, l'ha fatto. E non mi stupirebbe scoprire che non è la prima volta!
- Cosa mi stai dicendo, che prima o poi comunque mi avrebbe tradito?
- Ti sto dicendo che lei è fatta così. E' più forte di lei: seduce chiunque, persino le cassiere al supermercato. Le piace piacere, non ce la fa!

- Mi stai dicendo che è una specie di puttana inconsapevole?!
- Ti sto dicendo che lei l’ha fatto, ma io non l'avrei mai fatto!
Come una piccola, semplice, apparentemente innocua frase può aprire interi cassetti di segreti, archiviati con cura meticolosa. Nulla fa più rumore di una verità che si rivela all'improvviso e precipita nel vuoto andando in mille pezzi solo perché nessuno ha il coraggio e la volontà di raccoglierla.
Silenzio torna a posarsi su noi: Luca mi guarda, non emette un respiro, impallidisce; io sono già esangue da quando mi ha tolto l'ultima speranza. Vorrei che il te
mpo restasse sospeso e immobile per il resto dei miei giorni, vorrei poter raccogliere tutte le parole che mi sono cadute di bocca come biglie di vetro da una tasca scucita e rimetterle al loro posto. L'entropia è un vero problema.
Tutta la bellezza con cui è stato capace di riempirmi, tracima incontenibile tra le ciglia divelte. Nemmeno la rètina riesce a fare diga. Il piccolo pesce rosso nuota controcorrente per non farsi trascinare via, ma infine desiste, si abbandona, si disfa. Anni e anni di delittuoso, colpevole silenzio: il cuore non perdona che si taccia ciò che prova.
Luca è totalmente scuro ora che tutto gli è chiaro.
- Da quanto tempo? - mi domanda soltanto, le spalle abbattute, la
voce bassa, lo sguardo altrove.
- Non lo so, non lo so... anni... forse da sempre... è importante?
Mi guarda in tralice:
- No.
Prende la mia mano, ci deposita dentro le chiavi e si allontana senza aggiungere altro.
Ho riavuto le mie chiavi e il mio cuore, ma ora non voglio più niente, nemmeno respirare.
Salgo in macchina: ho la testa vuota e pesante. Mi lascio cadere sul sedile, tengo i finestrini chiusi. Il sudore si mischia alle lacrime. Non importa: sono comunque piena di sale.
O forse mi sudano semplicemente gli occhi, che non reggono la fatica di vederlo allontanarsi senza esitazioni.
Sull'asfalto vibra oscura la Fata Morgana: vorrei tanto che, almeno lei, potesse fare un incantesimo, riportarmi indietro di pochi minuti. Vorrei tanto che non fosse soltanto caldo torrido e afa.
Afa. Riesco solo a pensare che afa è una parola palindroma. Mi domando perché la vita non lo sia.





.Uno.


.Ragazza che s'offre.


Ho quest'uomo che impazzisce per me. A me di lui non importa niente. E' un bell'uomo, mi dicono e dicono anche che dovrei starci.
- Ma è sposato e ha un figlio! - obietto io, inorridita.
- E allora? Non sarà mica un matrimonio quello! E poi che ti frega? Magari lei se lo merita... Che spreco! E' davvero un bell'uomo!

E' davvero un bell'uomo? Non lo so. Ha trentotto anni, è alto, moro, con gli occhi scuri e lo sguardo virile, le spalle larghe, un sorriso candido e perfetto: è bello, sì. Se fosse un altro uomo, forse mi piacerebbe. Non tutto ciò che è bello mi piace.
Conosco la sua famiglia: sua moglie è una donna simpatica, davvero una brava persona, ha anche cercato di darmi un lavoro una volta che ne avevo bisogno. Il bambino ha sette anni ed è meraviglioso, sereno, intelligente, pieno di voglia di vivere. Ma lui non è felice.
- Come sei bella, Bianca...
Dice che è arrivato a una certa età e ha cominciato a vol
ere quello che avevano i suoi fratelli: una moglie, un figlio, una casa, un lavoro sicuro, le vacanze al mare, le foto di Natale. Una famiglia, insomma. Dice che gli è venuta paura di invecchiare da solo e che a un certo punto si è cercato una donna per bene che gli dicesse sì, finchè non l'ha trovata. Una valeva l'altra, dice. Ora ha tutto quello che voleva. Ma lui non è felice.
- Anna è perfetta - mi racconta mentre guida verso una stradina isolata - è un'ottima donna di casa, un'ottima madre: a me e a nostro figlio non manca mai niente, trovo sempre tutto pronto, i vestiti stirati, la tovaglia pulita, il vino che piace a me, la casa è uno specchio. E' grandiosa anche nel lavoro, non perde un colpo ed è piena di energie e di iniziative. E' ancora stupenda. Se volessi, potrei anche fare l'amore con lei
tutti i giorni. Non lascerò mai la mia famiglia: è tutto quello che ho e mio figlio è troppo importante.
- E fai bene: credo che i figli siano l'unico amore cui si può davvero dire per sempre... - "a meno che non diventino degli assassini pazzoidi e pedofili crescendo", aggiungo fra me e me - Ma se hai tutta questa meraviglia, perchè sei qui con me?
- Anna è perfetta, sì, ma non è una donna. E' solo utile, è un automa, è fredda. Tu, invece... Dio mio, tu!
Ho quest'uomo che impazzisce per me, ma a me di lui non importa niente. Non mi sta nemmeno simpatico e mi piace anche poco.

Ogni tanto ci faccio l'amore, ma non provo nulla: nè piacere nè dolore nè angoscia. Quando mi spoglio per lui, non sento alcunché, è una cosa che non mi emoziona. Lui, invece, si emoziona sì: gli si inumidiscono gli occhi, il pomo d'adamo gli guizza rapido su e giù per la gola, come un groppo che non vuole scendere, il viso gli si illumina e il respiro gli si mozza. Si sofferma sempre a lungo ad osservarmi.
- E' meraviglioso guardarti...
Mi fa sentire bella. Dovrei essere contenta e invece ho dentro il vuoto. Non provo niente, nemmeno quando lui mi tocca. Non mi piace nemmeno il modo in cui mi bacia, il modo in cui la sua lingua scivola nella mia bocca, il modo in
cui mi morde le labbra e mi ansima sul viso, non mi piace nulla.
Gli leggo l'emozione dappertutto, ogni cellula del suo corpo trasuda desiderio e felicità, ma è un portatore sano che non mi contagia. Lui mi guarda in estasi, io gli sorrido simulando complicità: si spoglia velocemente e le mie mani agiscono in automatico su di lui, che chiude gli occhi e si dimentica di me. E' talmente preso da se stesso e dal suo piacere da non rendersi nemmeno conto di quanto siano asettici e privi di trasporto i miei gesti, calcolati con precisione matematica.
- Vieni, vieni qui, vienimi sopra... - solleva appena la testa, socchiude gli occhi.
Gli obbedisco, docile è silenziosa: lo lascio scivolare d
entro di me e nemmeno in quell'istante vengo pervasa dal desiderio, quasi non noto la sua presenza nel mio corpo, per me è come se la sua virilità fosse fatta di burro.
Chiudo gli occhi: ora è il mio turno di dimenticare. Mi abbandono a una fantasia nuova, che mi conduca lontano dai miei pensieri, dagli affitti non pagati, dalle bollette scadute, dai creditori che mi inseguono, dagli amanti che mi respingono, dai legami che si spezzano, dalla sofferenza e dall'angoscia. Cavalco senza pensare, m
i lascio condurre lontano, corro verso un piacere che mi strappi alla banale e dolorosa quotidianità. Non dimentico di fingere di ansimare.
Per qualche minuto, la mia mente si svuota di tutto. I suoi gemiti entrano liberi nelle mie orecchie, come un piccolo gregge trotterellante che torna felice al suo ovile, mi riempiono la testa di una sensazione morbida, piacevole, ovattata. Una musica dolce, umana, che mi culla verso l'oblio e lascia la realtà sospesa, abbandonata in balia di se stessa.
Io non ci sono più, svanisco nel suo piacere: non provo più niente, non sento più nulla, nemmeno il mio corpo che sfrega contro il suo. Sono aria pulita, nuova, ossigeno che lui respira a pieni polmoni: mi lascio assorbire e r
igettare impura. Sono una sensazione invincibile ed eterna, sono ogni suo fremito e ogni sua vocale strozzata, sono fuoco vivo che gli arde la pelle. Più lui gode, più io mi rigenero. Più io mi polverizzo assecondandolo, più rinasco, come la fenice, dalle mie stesse ceneri. Più lui sale verso l'apice, più io alimento il mio fuoco, senza scottarmi nè venirne coinvolta. I nostri corpi sono solo un tramite per ricaricare la mia dinamo di energia vitale. Mi sento un vampiro e mi lascio vampirizzare: è un atto cristallino, che non viene intaccato dal desiderio frenetico della realizzazione di sè. Non voglio concedermi nè essere posseduta, voglio solo i corpi e le mie indennità su di loro: la purezza non deve soffrire.
Cambiamo posizione, mi metto carponi: ora è lui che vuole prendermi. Mi lascio guidare, va bene così: portami al trotto, finchè ti riesce; appena a
vremo finito, galopperò lontano da qui e da te.
- Ah, Dio, Bianca! Sei così stretta...
La verità è che non vorrei nemmeno farti entrare. Ma fare sesso mi ricorda perchè, nonostante tutto, sono ancora felice di essere viva. Uno, due, tre colpi di reni: il suo sudore piove sulla mia pelle arida, ma non la risveglia. Un altro colpo e ancora un altro: le sue unghie mi artigliano la schiena, aratri che non riescono a rendere fertile un terreno riluttante. Ci siamo quasi, ormai siamo vicini alla fine: lo sento contrarsi e irrigidirsi in ogni fibra, poi accasciarsi su di me come un sacco vuoto. Finalmente posso riprendere a respirare normalmente.

Si sdraia al mio fianco e mi blandisce, con una mano mi accarezza delicatamente la schiena. Quasi mi rifiuto di riaprire gli occhi e tornare alla realtà, ma mi impongo di farlo: lui è lì accanto a me, gli occhi chiusi, abbandonato; riprende coscienza lentamente, i tratti distesi e il sorriso lieve, soddisfatto. Leggera, gli passo istintivamente un dito sulla fronte, resa limpida e serena dall'orgasmo: ora è lui ad avere la mente sgombra da pensieri.
Si volta a guardarmi, mi sorride riconoscente e per un attimo mi sento come Madre Teresa di fronte a un lebbroso, una pia donna compassionevole che dona qualche istante di sollievo a un pover'uomo che viene lentamente corroso dal
la propria esistenza.
La sensazione di pietà svanisce immediatamente, quando il pensiero che si è scelto da solo la sua condanna mi attraversa la mente saettando.
- Mi dispiace che tu non... insomma... mi sembra di aver lasciato le cose a metà, incompiute...
- Non ti preoccupare, - gli dico sorridendo - non fa niente: per me non è importante, davvero.
Ed è vero: il mio fine ultimo nel sesso non è l'orgasmo. Il mio più grande piacere è donare piacere. E' un po' come quando si intraprende un viaggio e il panorama che si incontra lungo la strada è talmente bello da far scordare la met
a. Ho comunque avuto quello che volevo, ho ottenuto ciò che cercavo. E poi l'orgasmo è un atto di fiducia, non è una cosa che si può concedere a tutti. Lui è un traditore, non potrei mai fidarmi di lui: un traditore non avrà mai il mio piacere.
Resto a fissarlo, impietrita e silenziosa, tutta presa dalle mie riflessioni, nemmeno mi rendo conto che ho le pupille piantate nelle sue.
- Tu sei tutta in questo - mi sussurra dopo qualche istante.
- Come? - gli chiedo riprendendomi.
- Tu sei tutta in questo, nel tuo sguardo: chi non ti nota è uno stolto.
Il mio viso si stropiccia in una smorfia divertita
: credevo di essere l'unica ad usare ancora questa parola. Lui fraintende, abbassa lo sguardo, convinto di avermi fatto un complimento gradito. Ma cosa c'è davvero nei miei occhi? Forse solo quello che lui vuole vederci dentro. Se avesse visto la realtà, cosa mi avrebbe detto?
Ripercorriamo la stradina a ritroso, non vedo l'ora di scendere dalla macchina:
- Lasciami pure qui, qui va bene.
- Ma è tardi e tu sei sola: lascia che ti accompagni a casa...
- Non ti preoccupare, siamo abbastanza vicini a casa mia.
- Ma non me la sento di lasciarti sulla strada, così...
- Ehi, tranquillo: in due minuti a piedi sono arrivat
a, passo dai prati.
- Ma non hai paura? A quest'ora...
Sorrido: il sesso è l'esorcismo più potente che conosco.
- No, non ho più nessuna paura.
Scendo dalla macchina prima che lui faccia in tempo ad obiettare con l'ennesimo
ma.
- E adesso non sparire come tuo solito - si raccomanda.
Non rispondo. Mi limito a chiudere la portiera e a salutarlo con la mano, esibendo l'espressione più rassicurante che possiedo. La macchina finalmente si allontana, ora mi posso rilassare.

Mi volto verso la mia scorciatoia, che profuma d'erba e terra umida; prima di incamminarmi, mi soffermo a lungo a guardare la luna, che esce timidamente da dietro una nuvola come una spettatrice indiscreta. Il mio cuore batte più forte, lo sento come un tamburo nelle orecchie, sono viva. Che abbiano ragione mia madre, la mia prozia e il mio amico Vash quando dicono che sono una strega? Se così fosse, potrei andarmene via volando, con la perversione occultata dietro al mio più innocente sorriso. Scuoto la testa e scavalco la staccionata, atterrando sul morbido tappeto verde.
Mentre mi avvio verso casa, le scarpe mi si inzup
pano di rugiada e di fango; mi burlo dei miei stessi pensieri: le ragazze di campagna non volano, le ragazze di campagna tagliano per i campi.