.Tre.


.Esorcismo.


L’insonnia mi fa sentire come una caffettiera piena. Sono piena e febbricitante. Di pensieri, riflessioni e adrenalina. Sono pura caffeina. Caffeina e metallo rovente. Sono persino il fuoco al di sotto della moka. Con le mani, mi sforzo inutilmente di abbassare la fiamma.
Ho tostato a fuoco lento i miei pensieri: sono scuri, piccoli e duri come chicchi di caffè. Amaro, ma non ristretto. Un caffè lungo e scuro come tutta la notte. Ho avuto tanto tempo per macinarli fino a farne polvere grezza, che si appiccica alle dita, graffia i polpastrelli, sporca le unghie. Polverosi pensieri grezzi che m’insozzano le falangi.
Penso a lui, che non pensa a me. Che quasi sicuramente pensa a lei. Che non pensa a lui. Che ha chiamato lei. Lei. Che non richiamerà. Io lo chiamerei. Fino a perdere la voce. Di notte. Ogni notte. Penso a lui. Penso ai pensieri pensati di lui. Pensieri mai espressi per pudore. Su di lui. Dentro di me. Sopra di me. Sono sovrastata. Da lui e dai pensieri di lui. I suoi e anche i miei. Li immagino e immagino lui.
Gorgoglio, sotto pressione: la valvola a forma di cuore sbuffa impaziente vapore. Non è comunque sufficiente, sono un continuo ribollire. Temo che finirò col bruciarmi. Di me resteranno soltanto incrostazioni odorose, quando tutto si sarà freddato. Sarà stato freddato. Dall’indifferenza, dall’assenza, dalla distanza, dalla dimenticanza. Vorrei essere più simile alla misticanza. Colorata, riccia e vegetale. Non fa male. Non brucia, solo vive. E vegeta. Sarebbe bello. Ciao, come stai? Sono viva e vegeto. Senza muovermi, senza pensare, solo respirare. Prima ossigeno, poi anidride carbonica. Essere vegetale. Semplice fotosintesi quotidiana, senza pensieri, con la luce. Non stare sveglia e al buio. Di notte. Sono caffè. Sono caffè nero bollente.
Per toccarmi dovrò usare guanti da forno, per non scottarmi. Verserò con attenzione le mie liquide vanità notturne, lentamente, cercando di non sporcare. Per toccarmi tu, invece, dovrai aspettare che mi intiepidisca, poiché non vorrò ferirti.
Sarai paziente? Soffierai delicatamente su di me? Mi lascerai desiderare la tua bocca, affacciata al bordo della tazzina?
Respirerò del tuo respiro, direttamente dalle tue labbra. Non voglio più aria nuova. Ciò che di me abitualmente disperdo in molecole, a te lo offro come aroma. Scioglierò lo zucchero per te, mi farò dolce.
Le ore si diluiscono nel silenzio, quando tutto è fermo, la notte. Vorrei uscire, distrarmi a lungo, occupare il tempo, vestirmi bene, truccarmi tanto, entrare in un locale, lasciare cappotto e orgoglio appesi all’ingresso, portare con me solo dei bei denti e un’ampia scollatura a forma di vittoria. Non sarebbe difficile.
- Vuoi da bere, dolcezza?
- Sì, grazie, doppio e con ghiaccio.
- Vieni spesso qui?
- No, ma questo posto mi piace. E tu?
- Io vengo sempre, ma mi piace da stasera.
- Bella giacca…
- Belle scarpe…
- Bello sguardo, cosa pensi?
- Che mi piaci: chissà come baci?
- Molto bene, anche tu mi piaci.
- Bevi ancora?
- Sì, per ora…
- D’accordo, offro io.
- Non vorrei approfittare…
- Figurati, è un piacere!
- Va bene, sei gentile.
- Non vorrei farti ubriacare…
- Ma davvero? Che signore!
- Sarei io ad approfittare…
- Sarei io quella gentile…
- Dai, non farmi immaginare!
- Più che dire vorrei fare…
- Tra il dire e il fare, dimostrare…
- Ti dimostro, se poi usciamo…
- Sì, usciamo, dove andiamo?
- Abiti lontano?
- No… vuoi venire?
- Non sai quanto…
- Finirò con l’impazzire!
- Fammi strada che ti seguo.
Non sarebbe difficile, lo vedi? Mi basterebbe uscire, sorridere, farmi comprare e dire di sì. Lasciarmi comprare da qualche complimento riciclato, qualche frasetta collaudata, qualche sorriso stropicciato e qualche bicchiere offerto come un investimento. Non sarebbe difficile, non sarebbe per niente difficile. Con te. Con chiunque altro mi sarebbe completamente inconcepibile. Ma con te, no, non sarebbe difficile. Tu non saresti ordinario, io lo so. Non saresti scadente, dozzinale. Saresti, semplicemente. Per questo non sarebbe difficile.
Non lo sarebbe stato nemmeno la prima volta che ci siamo visti. Quando mi hai parlato piano, sottovoce, sussurrandomi suggestioni all’orecchio e ogni tua più piccola sillaba ha colpito impietosa i miei timpani, rimbombando senza filtri nella mia scatola cranica. Un fragore mille volte ripetuto alla mia mente, che rimbalza senza fine alla ricerca vana del suo dopo.
Da allora mi lanci sguardi da interpretare. Continui a farlo, nonostante lei. I tuoi occhi mi parlano in una lingua sconosciuta. Ero brava con le lingue straniere, a scuola. Di cosa sa la tua lingua? Avrei voluto saperlo ancor prima che mi parlassi. Ti avrei baciato, subito, senza fiatare. Le parole sono così volgari, così limitate… i miei baci avrebbero parlato, poi, da soli. Ti avrebbero gridato tutto a gran voce, in silenzio, direttamente nella tua bocca, facendo eco nell’anfiteatro candido dei tuoi denti, accoppiandosi ai tuoi respiri, senza concepire nemmeno una vocale.
Avresti pensato che sono avventata o frivola? Ma la verità è diversa, la verità è che mi piaci. E se mi piaci, mi piaci subito e se ti voglio, ti voglio subito. Non sono una facile, sono una semplice. Non lasciarti ingannare dal mio alone di stupida superficialità: lo indosso come farei con un buon profumo. Gli uomini sono sempre irresistibilmente attratti da tutto ciò che è disimpegnato. La verità è che di tutti gli uomini per cui i miei ormoni potrebbero impazzire, tu sei quello che i miei ormoni hanno scelto di amare. È stato ormone a prima vista. Non c’è rimedio agli ormoni sentimentali, temo.
Gli altri potrebbero avermi come nuda proprietà, ma non potrebbero mai abitarmi come fa già da mesi il tuo pensiero, una presenza ormai necessaria per dare senso allo spoglio domicilio della mia vita: il mio cuore ti ha scelto come inquilino e io non ho cuore di sfrattarti.
Di te, col tempo, ho imparato ad amare i dettagli: i denti accavallati, perché ogni volta che sorridi pare si affollino in una gara ad esprimere per primi ciò che provi. I tuoi occhi che guardano distrattamente l’orizzonte mentre mi parli e poi tornano repentini a posarsi su di me, perché mi hanno insegnato a godermi i tuoi sguardi, ad attenderli: mi hanno insegnato a domare l’impazienza e a trasformarla in desiderio. Le rughe che restano anche quando cambi espressione, come se le emozioni esitassero ad abbandonare il tuo viso. Le vene in rilievo che ti percorrono le braccia, perché portano la vita dal tuo cuore alle tue mani e mi viene sempre da pensare che in ogni tuo gesto c’è la parte migliore di te. Il modo in cui mi sussurri complimenti arrossendo. L’adolescente che ti abita, di tanto in tanto. I respiri che fai tra una parola e l’altra. Le parole che non mi dici, perché le parole non dette sono quelle più sentite. E io le sento.
Parlami. Parlami, dunque. Parlami in modo sporco, dimmi un sacco di porcherie. Eccita il mio cuore. Dimmi tutte quelle parole che inquinano l’anima, contaminano i respiri, infestano la mente, la marchiano, la imbrattano, la seducono nel disonore della falsità. Incantami. Dimmi ti amo, dimmi per sempre, dimmi che non lo faresti mai. Incatenami. Colmami di aspettative. Mentre ti aspetto, spererò che tutto si avveri. Mentimi. Mentimi e dimmi che va tutto bene. Sorridimi, mentimi: va tutto bene…
Calma. Va davvero tutto bene: ringraziando le circostanze, non sai nulla di queste mie tristi mediocrità notturne.
Quante persone sto frequentando pur d’evitarti? A quanti mi sarei potuta dare in pasto per sopperire alla tua assenza? Da quanti mi sarei potuta lasciar sbranare ostinandomi semplicemente a pensare: “Ma sì, tanto che importa? Ammazziamo il tempo finché siamo vivi”.
Rifletto sul fatto che da mesi sto avendo rapporti umani non protetti e non ho neanche adottato metodi preservativi per me stessa: spero soltanto di contrarre una sindrome che mi renda immune dalla deficienza acquisita. Quella altrui, si intende.

Continuiamo a perdere occasioni, irrimediabilmente. Ma dimmi: in questa notte insonne, non stai forse sognando anche tu l’incubo più dolce?
Amare è terrificante. Amare è assolutamente sbagliato. Amare è il mio desiderio più lontano. Amare mi tiene sveglia la notte. Amare: non voglio farlo. Nemmeno tu vuoi, lo so. Quante volte non ce lo siamo detti? Eppure l’abbiamo capito.
Aspetto sempre tutte quelle telefonate che, so bene, non farai mai. A volte è solo una questione di tempo. Altre volte è solo una questione.
Trito domande con i denti, mastico risposte, ingoio amare verità. Chi non mi vuole, non mi avrà. Non ho intenzione di concederti nemmeno più il mio tempo lontano da te. Temo più di tutto d’essere caduta tra le tue braccia per eccesso di solitudine e non per scelta. Le persone non sono animali da compagnia.
Ma io volevo rinascere al tuo fianco...
Se non potrò crescere questa nuova vita con te, l’abortirò senza rimorsi. Se non hai il coraggio né di prendermi né di lasciarmi andare, sarò io a liberarmi di te. A sopravviverti.
Sopravvivrò anche a questa notte in bianco. Io stessa diventerò bianca, nuova, intonsa. Mi annullerò per poter addizionare nuova vita. Forse diventerò pericolosa, perché saprò di poter sopravvivere ancora e ancora e ancora e ancora, tante altre notti, senza di te. Senza nessun altro che non sia me. Forse perderò il senso della pietà acquistando una nuova consapevolezza. Acquistandola a costo di me stessa. Diventerò fiera e spietata come Dio. Non ci sarà più caffè a tenermi sveglia e forse non avrò neanche più bisogno di dormire.
Ma ora sì, ora devo: la notte ha deposto già da tempo le sue piccole uova luminose nel cielo. Le coverò nel caldo delle coperte per il tempo che resta da qui al mio risveglio. Domani mattina, quando si schiuderanno tutte insieme, libereranno nel buio livido il loro fulgore, coleranno nel nero, lo diluiranno e nascerà una nuova, incredibile alba. O forse avrò un risveglio à la coque, con un arrendevole guscio di protezione all’esterno e un cuore caldo e morbido come lava pulsante all’interno. Un cuore caldo e morbido come lava pulsante all’interno.
Pum. Pum. Pum. Pum. Colpi. Pum. Secchi. Pum. Forti. Pum. Sordi. Pum. Sento. Pum. Un colpo. Pum. Forse. Pum. Il primo. Pum. Magari. Pum. L’ultimo. Pum. Che importanza. Pum. Ha. Pum. Se. Pum. È. Pum. Il primo. Pum. O. Pum. L’ultimo. Pum. ? . Il mio. Pum. Cuore. Pum. Vuole. Pum. Battere. Pum. Ancora. Pum. Mi. Pum. Vuole. Pum. Colpire. Pum. Ancora. Pum. E ancora. Pum. E ancora. Pum. E ancora. Pum. PumPumPumPum. Forse me lo merito.
Chiudo gli occhi, ormai il giorno è vicino: al mio risveglio, laverò tutti questi miei pensieri nel tiepido silenzio del primo mattino, stingerò la notte e le sue piccolezze con poche gocce di rugiada, recupererò il sale dalle lenzuola, una volta asciugate, lo conserverò come prezioso oro bianco, lo userò per condire i miei giorni migliori.
Morfeo mi accoglie, paterno: mi sgrida dolcemente per avere tardato tanto, per averlo fatto stare in pensiero. Lo abbraccio, lo bacio, mi perdona. Mi dona a mani aperte qualche sogno che non ricorderò.
Poche ore dopo, musica dolce nell’aria, mi sveglia. Ore sei del mattino.
Dove sei in questo mattino?
Ho letto alla radio che tu non ci sei. Le ho detto: “è inutile che canti, tanto lui non è qui” e le ho dato un colpo secco con la mano ancora addormentata, come a scacciare il ronzio di una mosca fastidiosa. Niente musica nell’aria già satura d’assenza.
Dove sono in questo mattino?
Uno strascico di malinconia è ancora adagiato sui ripidi gradini che portano dal mio cuore alla mia mente, come il velo di una sposa che è appena stata abbandonata sull’altare. Gli sorrido. Compiaciuta. Sorrido, ogni volta che mi sveglio col terrore della solitudine nel petto, col dolore che mi serpeggia nelle viscere, con l’orrore che mi pianta i denti nella pancia e succhia via la mia vita come un parassita. Io sorrido, sorrido sempre. Sorridi sempre: al nemico dà fastidio.
Il nemico è dentro di me, ha mutato forma, si è fatto pensiero dominante. Ha marcato tutto il territorio, convinto che così nessuno potrà più entrare. Sono stata io a lasciargli libero accesso, ad accoglierlo a braccia spalancate quando è venuto a bussare alla porta della mia mente, ad affezionarmi, a idealizzarlo, a volerlo con me. Per tenermi compagnia, almeno per un po’.
Ma ben presto ho realizzato che il pensiero dominante è un pericoloso divoratore: ha mangiato tutti gli altri pensieri, svuotato frigoriferi e dispense dai sogni, saccheggiato l’orto e il frutteto dai buoni propositi, bruciato i campi di dignità e orgoglio, ingoiato vive tutte le riflessioni che coltivavano amorevoli desideri. Ormai non mi è rimasto più niente da offrirgli. La sua fame non ha fine, ma io non mi farò mangiare per ultima: io oggi scelgo di scacciarlo, io oggi scelgo la libertà. Perché tutto ciò che domina, toglie libertà. E tutto ciò che domina e toglie libertà o è brutto o fa male o è brutto e fa male.
Schiudo gli occhi al mio nuovo presente. La stanza è rimasta immobile, dentro di me si è mosso qualcosa. Qualcosa sta germogliando, forse una nuova me.
Dalle imposte socchiuse filtra poca luce. Piccoli punti luminosi galleggiano nell’aria, coriandoli di vita, pois di sole. Nevica luce nella mia stanza. Cade su di me e mi scioglie dal sonno. Esco dal riparo bianco e soffice delle coperte come un bucaneve. Da bambina pensavo sempre che i bucaneve sono coraggiosi, perché sono gli unici fiori che sbocciano in inverno, quando tutti gli altri se ne stanno nascosti in attesa della primavera. Con ostinata determinazione si fanno strada attraverso la gelida indifferenza del ghiaccio e si godono il Sole. Il Sole…
Apro la finestra e chiudo fuori i pensieri della notte. Un Sole Re Mida mi tocca, trasformandomi in oro puro. Respiro profondamente: la luce invade ogni cosa, penetra le mie pupille, si riversa nelle mie narici, quasi mi soffoca. Si travasa copiosa fra le mie labbra aperte: la ingoio ad ampie sorsate, deglutisco densa, dorata potenza. Mi rigenera. Si irradia rapida nel mio corpo, raggiunge la mia mente.
La mia mente è piena di luce, ora. Ebbra. Di nuovo. Sorrido. Sono in overdose. Ora nulla ha più davvero importanza. Mi stupisco ogni volta di come solo il buio della notte sa donare nuova luce alle cose. Anche quelle cose che, col tempo, lascerò inevitabilmente sole. Sole come il Sole là fuori. Siamo soli io e il Sole. I miei occhi esclamano al cielo. Ci guardiamo e ci sorridiamo, perché ora sappiamo cosa fare. Da oggi la mia vita brillerà di luce propria. Siamo forti e luminosi, oggi, io e il Sole. Forse io stessa sono il Sole. Mi preparo ad uscire dalle nuvole: questo Sole non va sprecato.



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