.Quattro.


.Benzoino.

Fumo d’incenso, davanti ai miei occhi, diventa solido trasformista. Rivelami i miei pensieri, stupiscimi con ciò che già so. Non farti pregare. Sono io l’altare cui ti sacrifico. Non farti pregare.
Seduta a gambe incrociate, medito in sordina. Ascolto una flebile me. Ritrovo una mia spiritualità, ma non la chiamo dio. La ribattezzo Io.
Piccolo ventre di fuoco, crepita piano, sottovoce: che nessuno sappia dei tuoi inconfessabili desideri.
Respiro. Respiro, che per quanto profondo rimani superficiale, quali e quante porte vorresti aprire al tuo passaggio? A creare corrente d’aria nell’anima, tutti i miei sogni, impilati con cura negli anni, voleranno via, senza il fermacarte della razionalità. Non importa: erano tutti vuoti, immacolati, mai usati. Non preziosi.
Liberiamoci senza rimorsi degli orpelli inutili, offriamo scompiglio alla monotonia: sono certa che ci sorriderà, riconoscente, più capace di noi d’accettare il cambiamento.
La nuova visione di me si distacca dal reale e per questo diventa più reale. Ora che io sono me, non mi riconosco più. Sono meglio. Mi contemplo tristemente: che sconfitta scoprire d’essere migliori di come si vive. Migliori di come ci si vive.
La consapevolezza tintinna piano, incerta, come piccoli campanellini d’argento mossi dall’occhio di chi osserva. Risveglio lieve di una coscienza riluttante.
Mi avvio in cerca di me, alla cieca, guidata solo dal rumore delle mie unghie che scavano. Come un segugio vado a stanarmi. Il mio occhio muove intere pareti dentro di me: mi scopro murata viva da mattoni costituiti per la maggior parte da alibi inconsistenti.
Il modo migliore per sapere cosa si vuole è non sapere cosa si vuole. Una scatola vuota può essere riempita con qualunque cosa, così il niente può rapidamente trasformarsi in tutto, dire non so equivale a dire io saprò. Quindi io so.
Rapido, il mio occhio demolisce ciò che resta dei miei nascondigli. Ormai non resta una sola pietra da scagliare o dietro cui occultarmi.
Appare un corridoio inaspettato nel quale vacillo, disorientata, verso l’uscita. Un dito scorre lungo le pareti lisce, solide, invitanti: niente appigli, niente insenature, niente porte. Solo un imbuto che mi porta verso l’uscita, verso la Luce, come un utero. Sono smarrita e grata.
I miei piedi nudi sguazzano felici nella loro nuova coscienza di sé. Inseguita dai miei stessi passi, condannata forse a non raggiungermi mai, resto immobile. Paralizzata dalla libertà di movimento.
Un passo.
Avrò nostalgia?
Un altro passo.
Saprò come muovermi?
Ancora un passo.
Sono fuori di me.

L'universo è infinito e compatto: inizio a dare forma a questa mia nuova dimensione.



1 commento:

Anonimo ha detto...

bella, la hai scritta tutta tu?