.Tre.


.Esorcismo.


L’insonnia mi fa sentire come una caffettiera piena. Sono piena e febbricitante. Di pensieri, riflessioni e adrenalina. Sono pura caffeina. Caffeina e metallo rovente. Sono persino il fuoco al di sotto della moka. Con le mani, mi sforzo inutilmente di abbassare la fiamma.
Ho tostato a fuoco lento i miei pensieri: sono scuri, piccoli e duri come chicchi di caffè. Amaro, ma non ristretto. Un caffè lungo e scuro come tutta la notte. Ho avuto tanto tempo per macinarli fino a farne polvere grezza, che si appiccica alle dita, graffia i polpastrelli, sporca le unghie. Polverosi pensieri grezzi che m’insozzano le falangi.
Penso a lui, che non pensa a me. Che quasi sicuramente pensa a lei. Che non pensa a lui. Che ha chiamato lei. Lei. Che non richiamerà. Io lo chiamerei. Fino a perdere la voce. Di notte. Ogni notte. Penso a lui. Penso ai pensieri pensati di lui. Pensieri mai espressi per pudore. Su di lui. Dentro di me. Sopra di me. Sono sovrastata. Da lui e dai pensieri di lui. I suoi e anche i miei. Li immagino e immagino lui.
Gorgoglio, sotto pressione: la valvola a forma di cuore sbuffa impaziente vapore. Non è comunque sufficiente, sono un continuo ribollire. Temo che finirò col bruciarmi. Di me resteranno soltanto incrostazioni odorose, quando tutto si sarà freddato. Sarà stato freddato. Dall’indifferenza, dall’assenza, dalla distanza, dalla dimenticanza. Vorrei essere più simile alla misticanza. Colorata, riccia e vegetale. Non fa male. Non brucia, solo vive. E vegeta. Sarebbe bello. Ciao, come stai? Sono viva e vegeto. Senza muovermi, senza pensare, solo respirare. Prima ossigeno, poi anidride carbonica. Essere vegetale. Semplice fotosintesi quotidiana, senza pensieri, con la luce. Non stare sveglia e al buio. Di notte. Sono caffè. Sono caffè nero bollente.
Per toccarmi dovrò usare guanti da forno, per non scottarmi. Verserò con attenzione le mie liquide vanità notturne, lentamente, cercando di non sporcare. Per toccarmi tu, invece, dovrai aspettare che mi intiepidisca, poiché non vorrò ferirti.
Sarai paziente? Soffierai delicatamente su di me? Mi lascerai desiderare la tua bocca, affacciata al bordo della tazzina?
Respirerò del tuo respiro, direttamente dalle tue labbra. Non voglio più aria nuova. Ciò che di me abitualmente disperdo in molecole, a te lo offro come aroma. Scioglierò lo zucchero per te, mi farò dolce.
Le ore si diluiscono nel silenzio, quando tutto è fermo, la notte. Vorrei uscire, distrarmi a lungo, occupare il tempo, vestirmi bene, truccarmi tanto, entrare in un locale, lasciare cappotto e orgoglio appesi all’ingresso, portare con me solo dei bei denti e un’ampia scollatura a forma di vittoria. Non sarebbe difficile.
- Vuoi da bere, dolcezza?
- Sì, grazie, doppio e con ghiaccio.
- Vieni spesso qui?
- No, ma questo posto mi piace. E tu?
- Io vengo sempre, ma mi piace da stasera.
- Bella giacca…
- Belle scarpe…
- Bello sguardo, cosa pensi?
- Che mi piaci: chissà come baci?
- Molto bene, anche tu mi piaci.
- Bevi ancora?
- Sì, per ora…
- D’accordo, offro io.
- Non vorrei approfittare…
- Figurati, è un piacere!
- Va bene, sei gentile.
- Non vorrei farti ubriacare…
- Ma davvero? Che signore!
- Sarei io ad approfittare…
- Sarei io quella gentile…
- Dai, non farmi immaginare!
- Più che dire vorrei fare…
- Tra il dire e il fare, dimostrare…
- Ti dimostro, se poi usciamo…
- Sì, usciamo, dove andiamo?
- Abiti lontano?
- No… vuoi venire?
- Non sai quanto…
- Finirò con l’impazzire!
- Fammi strada che ti seguo.
Non sarebbe difficile, lo vedi? Mi basterebbe uscire, sorridere, farmi comprare e dire di sì. Lasciarmi comprare da qualche complimento riciclato, qualche frasetta collaudata, qualche sorriso stropicciato e qualche bicchiere offerto come un investimento. Non sarebbe difficile, non sarebbe per niente difficile. Con te. Con chiunque altro mi sarebbe completamente inconcepibile. Ma con te, no, non sarebbe difficile. Tu non saresti ordinario, io lo so. Non saresti scadente, dozzinale. Saresti, semplicemente. Per questo non sarebbe difficile.
Non lo sarebbe stato nemmeno la prima volta che ci siamo visti. Quando mi hai parlato piano, sottovoce, sussurrandomi suggestioni all’orecchio e ogni tua più piccola sillaba ha colpito impietosa i miei timpani, rimbombando senza filtri nella mia scatola cranica. Un fragore mille volte ripetuto alla mia mente, che rimbalza senza fine alla ricerca vana del suo dopo.
Da allora mi lanci sguardi da interpretare. Continui a farlo, nonostante lei. I tuoi occhi mi parlano in una lingua sconosciuta. Ero brava con le lingue straniere, a scuola. Di cosa sa la tua lingua? Avrei voluto saperlo ancor prima che mi parlassi. Ti avrei baciato, subito, senza fiatare. Le parole sono così volgari, così limitate… i miei baci avrebbero parlato, poi, da soli. Ti avrebbero gridato tutto a gran voce, in silenzio, direttamente nella tua bocca, facendo eco nell’anfiteatro candido dei tuoi denti, accoppiandosi ai tuoi respiri, senza concepire nemmeno una vocale.
Avresti pensato che sono avventata o frivola? Ma la verità è diversa, la verità è che mi piaci. E se mi piaci, mi piaci subito e se ti voglio, ti voglio subito. Non sono una facile, sono una semplice. Non lasciarti ingannare dal mio alone di stupida superficialità: lo indosso come farei con un buon profumo. Gli uomini sono sempre irresistibilmente attratti da tutto ciò che è disimpegnato. La verità è che di tutti gli uomini per cui i miei ormoni potrebbero impazzire, tu sei quello che i miei ormoni hanno scelto di amare. È stato ormone a prima vista. Non c’è rimedio agli ormoni sentimentali, temo.
Gli altri potrebbero avermi come nuda proprietà, ma non potrebbero mai abitarmi come fa già da mesi il tuo pensiero, una presenza ormai necessaria per dare senso allo spoglio domicilio della mia vita: il mio cuore ti ha scelto come inquilino e io non ho cuore di sfrattarti.
Di te, col tempo, ho imparato ad amare i dettagli: i denti accavallati, perché ogni volta che sorridi pare si affollino in una gara ad esprimere per primi ciò che provi. I tuoi occhi che guardano distrattamente l’orizzonte mentre mi parli e poi tornano repentini a posarsi su di me, perché mi hanno insegnato a godermi i tuoi sguardi, ad attenderli: mi hanno insegnato a domare l’impazienza e a trasformarla in desiderio. Le rughe che restano anche quando cambi espressione, come se le emozioni esitassero ad abbandonare il tuo viso. Le vene in rilievo che ti percorrono le braccia, perché portano la vita dal tuo cuore alle tue mani e mi viene sempre da pensare che in ogni tuo gesto c’è la parte migliore di te. Il modo in cui mi sussurri complimenti arrossendo. L’adolescente che ti abita, di tanto in tanto. I respiri che fai tra una parola e l’altra. Le parole che non mi dici, perché le parole non dette sono quelle più sentite. E io le sento.
Parlami. Parlami, dunque. Parlami in modo sporco, dimmi un sacco di porcherie. Eccita il mio cuore. Dimmi tutte quelle parole che inquinano l’anima, contaminano i respiri, infestano la mente, la marchiano, la imbrattano, la seducono nel disonore della falsità. Incantami. Dimmi ti amo, dimmi per sempre, dimmi che non lo faresti mai. Incatenami. Colmami di aspettative. Mentre ti aspetto, spererò che tutto si avveri. Mentimi. Mentimi e dimmi che va tutto bene. Sorridimi, mentimi: va tutto bene…
Calma. Va davvero tutto bene: ringraziando le circostanze, non sai nulla di queste mie tristi mediocrità notturne.
Quante persone sto frequentando pur d’evitarti? A quanti mi sarei potuta dare in pasto per sopperire alla tua assenza? Da quanti mi sarei potuta lasciar sbranare ostinandomi semplicemente a pensare: “Ma sì, tanto che importa? Ammazziamo il tempo finché siamo vivi”.
Rifletto sul fatto che da mesi sto avendo rapporti umani non protetti e non ho neanche adottato metodi preservativi per me stessa: spero soltanto di contrarre una sindrome che mi renda immune dalla deficienza acquisita. Quella altrui, si intende.

Continuiamo a perdere occasioni, irrimediabilmente. Ma dimmi: in questa notte insonne, non stai forse sognando anche tu l’incubo più dolce?
Amare è terrificante. Amare è assolutamente sbagliato. Amare è il mio desiderio più lontano. Amare mi tiene sveglia la notte. Amare: non voglio farlo. Nemmeno tu vuoi, lo so. Quante volte non ce lo siamo detti? Eppure l’abbiamo capito.
Aspetto sempre tutte quelle telefonate che, so bene, non farai mai. A volte è solo una questione di tempo. Altre volte è solo una questione.
Trito domande con i denti, mastico risposte, ingoio amare verità. Chi non mi vuole, non mi avrà. Non ho intenzione di concederti nemmeno più il mio tempo lontano da te. Temo più di tutto d’essere caduta tra le tue braccia per eccesso di solitudine e non per scelta. Le persone non sono animali da compagnia.
Ma io volevo rinascere al tuo fianco...
Se non potrò crescere questa nuova vita con te, l’abortirò senza rimorsi. Se non hai il coraggio né di prendermi né di lasciarmi andare, sarò io a liberarmi di te. A sopravviverti.
Sopravvivrò anche a questa notte in bianco. Io stessa diventerò bianca, nuova, intonsa. Mi annullerò per poter addizionare nuova vita. Forse diventerò pericolosa, perché saprò di poter sopravvivere ancora e ancora e ancora e ancora, tante altre notti, senza di te. Senza nessun altro che non sia me. Forse perderò il senso della pietà acquistando una nuova consapevolezza. Acquistandola a costo di me stessa. Diventerò fiera e spietata come Dio. Non ci sarà più caffè a tenermi sveglia e forse non avrò neanche più bisogno di dormire.
Ma ora sì, ora devo: la notte ha deposto già da tempo le sue piccole uova luminose nel cielo. Le coverò nel caldo delle coperte per il tempo che resta da qui al mio risveglio. Domani mattina, quando si schiuderanno tutte insieme, libereranno nel buio livido il loro fulgore, coleranno nel nero, lo diluiranno e nascerà una nuova, incredibile alba. O forse avrò un risveglio à la coque, con un arrendevole guscio di protezione all’esterno e un cuore caldo e morbido come lava pulsante all’interno. Un cuore caldo e morbido come lava pulsante all’interno.
Pum. Pum. Pum. Pum. Colpi. Pum. Secchi. Pum. Forti. Pum. Sordi. Pum. Sento. Pum. Un colpo. Pum. Forse. Pum. Il primo. Pum. Magari. Pum. L’ultimo. Pum. Che importanza. Pum. Ha. Pum. Se. Pum. È. Pum. Il primo. Pum. O. Pum. L’ultimo. Pum. ? . Il mio. Pum. Cuore. Pum. Vuole. Pum. Battere. Pum. Ancora. Pum. Mi. Pum. Vuole. Pum. Colpire. Pum. Ancora. Pum. E ancora. Pum. E ancora. Pum. E ancora. Pum. PumPumPumPum. Forse me lo merito.
Chiudo gli occhi, ormai il giorno è vicino: al mio risveglio, laverò tutti questi miei pensieri nel tiepido silenzio del primo mattino, stingerò la notte e le sue piccolezze con poche gocce di rugiada, recupererò il sale dalle lenzuola, una volta asciugate, lo conserverò come prezioso oro bianco, lo userò per condire i miei giorni migliori.
Morfeo mi accoglie, paterno: mi sgrida dolcemente per avere tardato tanto, per averlo fatto stare in pensiero. Lo abbraccio, lo bacio, mi perdona. Mi dona a mani aperte qualche sogno che non ricorderò.
Poche ore dopo, musica dolce nell’aria, mi sveglia. Ore sei del mattino.
Dove sei in questo mattino?
Ho letto alla radio che tu non ci sei. Le ho detto: “è inutile che canti, tanto lui non è qui” e le ho dato un colpo secco con la mano ancora addormentata, come a scacciare il ronzio di una mosca fastidiosa. Niente musica nell’aria già satura d’assenza.
Dove sono in questo mattino?
Uno strascico di malinconia è ancora adagiato sui ripidi gradini che portano dal mio cuore alla mia mente, come il velo di una sposa che è appena stata abbandonata sull’altare. Gli sorrido. Compiaciuta. Sorrido, ogni volta che mi sveglio col terrore della solitudine nel petto, col dolore che mi serpeggia nelle viscere, con l’orrore che mi pianta i denti nella pancia e succhia via la mia vita come un parassita. Io sorrido, sorrido sempre. Sorridi sempre: al nemico dà fastidio.
Il nemico è dentro di me, ha mutato forma, si è fatto pensiero dominante. Ha marcato tutto il territorio, convinto che così nessuno potrà più entrare. Sono stata io a lasciargli libero accesso, ad accoglierlo a braccia spalancate quando è venuto a bussare alla porta della mia mente, ad affezionarmi, a idealizzarlo, a volerlo con me. Per tenermi compagnia, almeno per un po’.
Ma ben presto ho realizzato che il pensiero dominante è un pericoloso divoratore: ha mangiato tutti gli altri pensieri, svuotato frigoriferi e dispense dai sogni, saccheggiato l’orto e il frutteto dai buoni propositi, bruciato i campi di dignità e orgoglio, ingoiato vive tutte le riflessioni che coltivavano amorevoli desideri. Ormai non mi è rimasto più niente da offrirgli. La sua fame non ha fine, ma io non mi farò mangiare per ultima: io oggi scelgo di scacciarlo, io oggi scelgo la libertà. Perché tutto ciò che domina, toglie libertà. E tutto ciò che domina e toglie libertà o è brutto o fa male o è brutto e fa male.
Schiudo gli occhi al mio nuovo presente. La stanza è rimasta immobile, dentro di me si è mosso qualcosa. Qualcosa sta germogliando, forse una nuova me.
Dalle imposte socchiuse filtra poca luce. Piccoli punti luminosi galleggiano nell’aria, coriandoli di vita, pois di sole. Nevica luce nella mia stanza. Cade su di me e mi scioglie dal sonno. Esco dal riparo bianco e soffice delle coperte come un bucaneve. Da bambina pensavo sempre che i bucaneve sono coraggiosi, perché sono gli unici fiori che sbocciano in inverno, quando tutti gli altri se ne stanno nascosti in attesa della primavera. Con ostinata determinazione si fanno strada attraverso la gelida indifferenza del ghiaccio e si godono il Sole. Il Sole…
Apro la finestra e chiudo fuori i pensieri della notte. Un Sole Re Mida mi tocca, trasformandomi in oro puro. Respiro profondamente: la luce invade ogni cosa, penetra le mie pupille, si riversa nelle mie narici, quasi mi soffoca. Si travasa copiosa fra le mie labbra aperte: la ingoio ad ampie sorsate, deglutisco densa, dorata potenza. Mi rigenera. Si irradia rapida nel mio corpo, raggiunge la mia mente.
La mia mente è piena di luce, ora. Ebbra. Di nuovo. Sorrido. Sono in overdose. Ora nulla ha più davvero importanza. Mi stupisco ogni volta di come solo il buio della notte sa donare nuova luce alle cose. Anche quelle cose che, col tempo, lascerò inevitabilmente sole. Sole come il Sole là fuori. Siamo soli io e il Sole. I miei occhi esclamano al cielo. Ci guardiamo e ci sorridiamo, perché ora sappiamo cosa fare. Da oggi la mia vita brillerà di luce propria. Siamo forti e luminosi, oggi, io e il Sole. Forse io stessa sono il Sole. Mi preparo ad uscire dalle nuvole: questo Sole non va sprecato.



.Due.


.Afa.


-Mi spieghi, per piacere?
Cerca il mio sguardo, ma glielo nego. Dopo una breve esitazione, sospiro, mi volto e mi avvio con passo spedito verso la macchina: ci sono momenti difficili che vanno affrontati solo dopo aver fatto un gran respiro profondo, un respiro che va preso, trattenuto e non va mollato fino alla fine. Una specie di apnea decisionale: se arrivi fino in fondo con una boccata sola, è fatta. Trattieni il respiro, trattieni la determinazione. O q
uantomeno l'idea della determinazione.
La strada è ancora umida, nonostante l'acquazzone sia terminato da più di un'ora e il soffocante sole estivo si sia già attivato a trasformare la piacevole frescura in invadentissima, appiccicosa, soffocante afa. Tutt'attorno è un brulicare di persone, voci e rumore di traffico.
Accelero il passo e, nella frenesia di fuggire la risposta, attraverso sufficientemente lontano dalle strisce pedonali da costringere un paio di macchine a frenare bruscamente e meritarmi un "vaffanculo!" a voce alta.
- Miriam, non mi ignorare.
Sta usando il suo miglior tono imperativo, quello categorico dell
e grandi occasioni, corredato da sguardo serio, estremità ad anforetta e potenti sbuffi taurini dalle narici. Ma lo conosco a sufficienza: anche se gli volto le spalle, sento le sue braccia sollevarsi e ricadere sbattendo ai lati del corpo mentre, impotente, cerca di piegare la mia ostinazione.
Frugo nella borsa in cerca delle chiavi, ma non le trovo. In compenso sbuca, come dal cilindro di un prestigiatore, una sigaretta tutta spiegazzata e con il filtro appeso per un brandello. Peccato: avevo smesso. Metto fine all'agonia del tamponcino giallo e mi ficco in bocca ciò che resta del mio vizio.

- Ma... non avevi smesso?
Mi acciglio nella ricerca dell'accendino e inizio a sentirmi davvero infastidita dalla sua presenza. Possibile, poi, che quando si è irritati non ci sia mai modo di trovare ciò che ci serve? Soprattutto le parole. O di liberarci di ciò che non vogliamo? Soprattutto le parole.
- Miriam, dai...
- Oh, Luca, ma la vuoi piantare? - sbotto incenerendolo e serrando le labbra intorno alla cartina - Quello che penso te l'ho già detto.
- Quindi tu le dai ragione?
- Ma è poi questione di avere ragione o torto? Io non ne vogl
io più parlare... Non ne voglio più parlare. Di lei, di te, di me. Non me ne frega niente. Mi chiamo fuori, non mi interessa. Anzi, sai cosa ti dico? Ho appena deciso che stasera mi ubriaco, sì, mi sbronzo pesantemente, poi esco per strada, mi sdraio per terra, come un cane, e dormo lì. Mi passasse sopra un TIR o un intercity, io me ne frego! Me ne frego di te. E me ne frego di lei. Me ne frego persino di me. Me ne frego pure di Dio e dei sacramenti. Me ne frego dei sacramenti, di Dio, di me, di lei e anche di te! Fanculo!
Silenzio. Distolgo lo sguardo. Un ragazzino, provvidenziale.
- Scusa, hai da accendere?
L'ho praticamente placcato mentre mi passava serenamente accanto. Muto, mi porge l'accendino: credo sia stato più un atto di timore reverenziale che u
na gentilezza.
Una, due, tre boccate, rapide, nervose. Il grigiofumo mi riempie i polmoni, sgradevolmente. Ora sto bene: sono completamente sgradevole. Fuori e dentro l'anima, fuori e dentro il mio corpo, solo amaro in bocca. Ora sono tutta in sintonia.
Cerco di non concedergli i miei occhi, avverto i suoi perlustrarmi il viso: ne setacciano i segni, dell'età e dell'irrequietezza. Sta aspettando. Che io ceda. Sta aspettando. Un mio cenno, un mio sguardo, un mio gesto di debolezza.
Obliqua, osservo la maglietta verde che spunta come la farcitura di una torta fra le dita delle mani, tornate a poggiarsi sui fianchi: penso a quante volte le mie g
ambe si sono avvinghiate attorno al suo bacino nei giochi d'infanzia, quando entrambi eravamo senza sesso, come gli angeli; penso a tutte quelle occasioni in cui avrei voluto serrarle di nuovo, una volta cresciuti, in situazioni ben diverse, in contesti adulti...
Torno a tuffare le mani nella borsa, lottando per non cedere alle mie stesse tentazioni, scaccio i pensieri morbidi e allettanti, li lascio rotolare via.
Improvviso e distante, un familiare, ben distinto tintinnare metallico. Sorriso di plastica sbattuto in faccia, consapevolezza immediata, diretta come uno spillone piantato nel cervello: le chiavi, le ha lui. Realizzo solo ora. Le dimentico sempre, sempre al bar, maledizione! E lui lo sa, per questo le ha prese.

La complicità nasce spontanea e non ha bisogno di essere coltivata: come un piccolo rampicante, si avvinghia ai rapporti, da cui trae nutrimento, senza intaccarli, senza disturbare, semplicemente abbellendoli con la sua presenza. Come l'edera, è segno di fedeltà. E la fedeltà è una promessa, la lealtà un debito.
Ma cosa ce ne facciamo della complicità, se non la chiamiamo amore?
- Dammele.
- No, ora tu mi ascolti...
- Luca, non fare lo scemo: dammi le chiavi e facciamola finita.
- No, ora mi stai a sentire!

Demordo. Galleggio. Abbasso lo sguardo, non ce la faccio. Denti affondati nel labbro inferiore. Sopporto, attendo, respiro. Respira. Poi parla:
- Otto anni, capisci? Sono otto anni che io e Alessandra stiamo insieme. Otto.
Lo dice come se un fottuto numero potesse avere senso. Otto cos'è? E' solo un cazzo di numero, tutto aggrovigliato su se stesso, tutto compiaciuto da se stesso. Otto è il simbolo dell'infinito, quando si sdraia perché troppo stanco del suo piccolo, tondeggiante ruolo matematico. Ne è il simbolo, non la promessa. Solo il simbolo, non la certezza. Otto non è la verità.

- Perché, se fossero stati otto mesi sarebbero forse valsi meno?
Ennesima boccata amara: non amo essere così acida con lui, ma non voglio negarmi questi toni così accesi e non è solo per una questione di confidenza fra noi. Forse perché non amo la situazione in cui mi trovo. Forse perché lui non ama me.
- Otto anni sono tempo, Miriam, otto anni della mia vita... Otto anni sono un investimento.
Resto stordita mentre realizzo il concetto che mi ha appena espresso. A questo si riduce l'amare qualcuno? Ad uno squallido investimento? Ad un obbligo di firma per il tempo speso? E' forse un mutuo l'amore? Una forma di affitto a riscatto? E cosa dovremmo arrivare a possedere, alla fine, grazie al tempo che dedichiamo a c
hi amiamo? Su cosa avremmo diritto di farci rivalsa? Lo si fa solo per proprio tornaconto? Non erano forse anni e anni che io amavo lui, in silenzio, senza pentirmene mai? Sto forse mentendo, ora?
- Punti di vista - concludo allungando la mano per recuperare ciò che è mio, foss'anche soltanto il mio cuore.
- No, aspetta: tu mi avevi detto che...
- Oh, ma insomma? E' più importante quello che ho detto io o quello che avete vissuto voi?
- Sai bene quanto conta ciò che dici per me...
Ci sono spifferi d'anima che ti fanno tremare anche quando fa caldo,
è inevitabile.
- Ho detto solo la mia onesta impressione, cioè che Ale vuole stare bene e non pensare, passare qualche bel momento con te e progettare poco. Fine.
- Ma dopo otto anni...?
- Oh, 'sti otto anni e otto anni! Ci hai rotto le palle, Luca! E ridammi le chiavi!
Improvviso, Silenzio cala nella via con la sua cappa di tesa immobilità. Un passante, preoccupato dalla repentina rarefazione dell'aria:
- Signorina, va tutto bene? Questo signore la sta forse importunando?
- Sì! ...no, cioè... grazie, lasci stare: è tutto a posto.
Passi poco convinti che si allontanano, incrocio rapido dei nostri sgua
rdi.
- Devo trovare un senso a questa cosa, mi capisci?
Questa mania delle persone d'avere sempre il perfetto controllo, la perfetta comprensione su tutto.
- Onestamente, no.
- Sto diventando paranoico, secondo te?
So come e quanto sa leggermi dentro: per l'occasione indosso soltanto dell'espressivo mutismo.
- Forse hai ragione tu, scusami. E' che abbiamo attraversato t
ante cose in questi anni... sempre da un estremo all'altro... siamo sempre stati al limite di tutto, secondo me.
- Questo potete saperlo solo voi.
- Io so di aver commesso degli errori. E tanti.
Non posso impedirmi un moto di tenerezza.
- Be', ma è normale, sei un essere umano. Beckett diceva "Fallisci ancora, fallisci meglio"... Si sbaglia, si cresce, si impara, ci si evolve e con noi tutti i nostri rapporti. Tutti, nessuno escluso. Ciò che vi accade è normale. Questo devi capirlo e accettarlo, Luca...
- Sai, a volte mi sento così in colpa, però tante cose non sono dipese da me... Non voglio spiegare ogni cosa, sarebbe penoso e basta. Solo io e lei sappiam
o ogni cosa. E comunque non le ho mai dato un motivo valido per tradirmi.
- Maturità è pagare il prezzo accettato.
- Infatti, credo di aver accettato anche troppo e ora ne sto pagando le conseguenze.
- No, quello che intendo dire è che tu hai accettato di perdonarla, hai accettato il tradimento: ora non puoi recriminare niente, lei ha ragione in questo. Hai scelto di perdonarla? Bene. Ora però smetti di punirla.
- Ma io sono stato capace di riconoscere le mie responsabilità, ho voluto darle un'altra possibilità, l'ho desiderato!
L'ostinazione puzza d'orgoglio. Incredibile come esseri uman
i adulti siano capaci di nascondere così bene spiritelli adolescenti.
- Luca, però in questo caso l'essere magnanimi non basta, ci vuole anche una forte dose di consapevolezza: si rade al suolo e si riparte da zero, si ricostruisce se si ha la forza e la volontà di farlo.
- Sai, Mimì, io ero davvero pronto a ripartire da capo con lei, ma quella domanda non mi dava pace: cosa le ho fatto mancare per farla arrivare a questo?
- Se la risposta era niente, potevi andartene con la coscienza pulita.
- Ci ho pensato così tanto... ma più passa il tempo, meno questo tradimento passa... questo tradimento non passa. E' un mio problema, lo so.
- No, cazzo! Il problema è come scegli di affrontare la cosa. Vuoi
lasciarti schiacciare da questo? Vuoi accettarlo e passare oltre? Vuoi dimenticartene? Vuoi allontanartene? E' questione di cosa scegli.
- Ora, dal tono che stai usando, pare che l'errore l'ha commesso lei però il colpevole sono io.
- Noi siamo responsabili di quello che ci accade, anche a livello emotivo. Certo, possiamo attraversare momenti di debolezza, ma se le persone riescono a ferirci o renderci felici è solo perché noi glielo permettiamo. L'incapacità di fare barriera o l'eccesso nel fare muro non sono giustificazioni. E' una questione di scelte: non è egoismo, è realismo.
Per un attimo sembra capire, i suoi occhi mi danno pienamente ragione, stupiti e muti. Poi si abbassano rapidamente e cambiano idea:

- Comunque ora stiamo bene.
- Allora cerca di capire se questo benessere può essere un nuovo inizio, con una maturità e una consapevolezza diverse, o un sole di mezzanotte: vivi quello che ti si pone davanti e scegli in base a come vuoi stare.
- Voglio stare con lei e voglio stare bene.
Un rumore sordo, una fucilata in pieno petto. Il sangue che defluisce rapidamente nei talloni, la testa che ciondola piano, svuotata. I pallini sforacchiano ciò che resta della mia povera persona: e io che avevo sperato, per qualche giorno, a
vevo pensato che forse... E io che pensavo fosse sufficiente sapere come tu prendi il caffè e che tu sapessi a che ora punto la sveglia al mattino per fare di un me e di un te un noi.
In affanno, mi sforzo ancora di mantenere il mio semplice, amichevole ruolo, di contenere le lacrime dietro la barriera sicura delle iridi.
- Be', quest'esperienza ti avrà senz'altro insegnato qualcosa.
- Sì, ma non ho ancora capito bene cosa: è ancora tutto troppo doloroso, troppo in divenire...
Barlume di speranza: smetto di scheggiare, mi gioco un'ultima provocazione:
- Il travaglio dà sempre alla luce una nuova vita, non lo sai?
- Certo, ed è una nuova vita che io voglio iniziare con lei: non ca
pisco, perché non mi aiuti in questo? Io voglio superare i miei limiti e tu sembri quasi remarmi contro...
Improvvisamente, mi sento soffocare: l'aria mi si appiccica addosso come una pellicola trasparente, mi occlude i pori, mi intrappola. Ho paura, perché non posso evaporare. Sembra che l'unico punto da cui possano uscire i miei pensieri sia la mia bocca. Non ho via di scampo: sono un geiser attivo in pieno centro città.
Dio, come vorrei essere trasparente: se solo tu potessi vedere come ogni cosa in me si dissolve, si diluisce, si fa poltiglia impalpabile, quando sono in tua presenza. Come il mio cuore si ritrova a nuotare solo e felice all'interno della cassa t
oracica, come un pesce rosso con un acquario pieno di limpida, liquida grazia tutto per sé.
Ormai sono al punto di non ritorno: esondo, mio malgrado.
- Non so come aiutarti: te la sei scelta, ora tienitela.
- Miriam, ma...
- Ma cosa? Ma cosa? Alessandra è sempre stata incline al tradimento, non è una novità: appena ne ha avuta l'occasione, l'ha fatto. E non mi stupirebbe scoprire che non è la prima volta!
- Cosa mi stai dicendo, che prima o poi comunque mi avrebbe tradito?
- Ti sto dicendo che lei è fatta così. E' più forte di lei: seduce chiunque, persino le cassiere al supermercato. Le piace piacere, non ce la fa!

- Mi stai dicendo che è una specie di puttana inconsapevole?!
- Ti sto dicendo che lei l’ha fatto, ma io non l'avrei mai fatto!
Come una piccola, semplice, apparentemente innocua frase può aprire interi cassetti di segreti, archiviati con cura meticolosa. Nulla fa più rumore di una verità che si rivela all'improvviso e precipita nel vuoto andando in mille pezzi solo perché nessuno ha il coraggio e la volontà di raccoglierla.
Silenzio torna a posarsi su noi: Luca mi guarda, non emette un respiro, impallidisce; io sono già esangue da quando mi ha tolto l'ultima speranza. Vorrei che il te
mpo restasse sospeso e immobile per il resto dei miei giorni, vorrei poter raccogliere tutte le parole che mi sono cadute di bocca come biglie di vetro da una tasca scucita e rimetterle al loro posto. L'entropia è un vero problema.
Tutta la bellezza con cui è stato capace di riempirmi, tracima incontenibile tra le ciglia divelte. Nemmeno la rètina riesce a fare diga. Il piccolo pesce rosso nuota controcorrente per non farsi trascinare via, ma infine desiste, si abbandona, si disfa. Anni e anni di delittuoso, colpevole silenzio: il cuore non perdona che si taccia ciò che prova.
Luca è totalmente scuro ora che tutto gli è chiaro.
- Da quanto tempo? - mi domanda soltanto, le spalle abbattute, la
voce bassa, lo sguardo altrove.
- Non lo so, non lo so... anni... forse da sempre... è importante?
Mi guarda in tralice:
- No.
Prende la mia mano, ci deposita dentro le chiavi e si allontana senza aggiungere altro.
Ho riavuto le mie chiavi e il mio cuore, ma ora non voglio più niente, nemmeno respirare.
Salgo in macchina: ho la testa vuota e pesante. Mi lascio cadere sul sedile, tengo i finestrini chiusi. Il sudore si mischia alle lacrime. Non importa: sono comunque piena di sale.
O forse mi sudano semplicemente gli occhi, che non reggono la fatica di vederlo allontanarsi senza esitazioni.
Sull'asfalto vibra oscura la Fata Morgana: vorrei tanto che, almeno lei, potesse fare un incantesimo, riportarmi indietro di pochi minuti. Vorrei tanto che non fosse soltanto caldo torrido e afa.
Afa. Riesco solo a pensare che afa è una parola palindroma. Mi domando perché la vita non lo sia.